Giappone. Fukushima: il Telegraph, ‘governo pronto a scaricare in mare acqua radioattiva’

di C. Alessandro Mauceri

A distanza di sette anni si continua a parlare del disastro di Fukushima e delle conseguenze sulla ssalute dei cittadini e sull’ambiente. Già un anno fa erano sorti dubbi su cosa fare del milione di tonnellate di acqua radioattiva contenuta nei serbatoi della centrale nucleare di Fukushima Daiichi e utilizzati per il raffreddamento del reattore. Lo stesso governo giapponese non sembrava riuscire a trovare una risposta a questo quesito. Nonostante il ricorso a migliaia di lavoratori per far fronte ai danni causati dallo tsunami, molti dei quali impegnati nella costruzione di serbatoi di stoccaggio dell’acqua, la situazione non è mai stata delle più rosee proprio a causa delle 900 vasche dell’impianto e dell’utilizzo che si sarebbe dovuto fare dell’acqua contaminata dalle radiazioni. Alcuni esperti avevano suggerito al Governo di riversarla lentamente nell’Oceano Pacifico dopo aver tutti i contaminanti ad eccezione del trizio, che secondo gli scienziati in basse quantità non avrebbe causato grossi danni. Altri hanno suggerito di tenere i liquidi di raffreddamento stoccati nelle vasche della centrale, con il rischio però che un nuovo terremoto o uno tsunami potessero danneggiarle e far fuoriuscire il contenuto in maniera incontrollata. Lo scorso anno una falla in una delle vasche di contenimento del reattore n.2 di Fukushima scatenò il panico. Dopo diversi tentativi i tecnici riuscirono a tappare la crepa lunga una ventina di centimetri nel muro perimetrale della vasca con il cosiddetto ‘water glass’, o vetro liquido, soluzione concentrata di silicato di sodio, usata generalmente come isolante nei materiali da costruzione.
La perdita intanto aveva scaricato in mare acqua contaminata al punto che davanti alla centrale erano stati riscontrati livelli di radioattività 7,5 milioni di volte superiori alla norma. In quell’occasione l’India decise il blocco totale delle importazioni di cibo giapponese per un periodo di tre mesi. Decisioni analoghe ma meno restrittive vennero prese da Cina, Taiwan, Singapore, Russia e Stati Uniti.
Nei giorni scorsi a riaccendere il campanello d’allarme e a parlare di nuovo del problema “Fukushima” è stato il quotidiano Britannico The Telegraph che ha riferito di avere appreso da fonti interne al governo giapponese (non meglio definite, però) che il Giappone starebbe pensando scaricare nell’Oceano Pacifico oltre un milione (1,09) di tonnellate di acqua contaminata contenente materiale radioattivo con concentrazioni ben al di sopra dei livelli consentiti.
La notizia ha scatenato la reazione dei residenti locali e di diverse organizzazioni ambientaliste, ma anche di gruppi della Corea del Sud e di Taiwan per il rischio di contaminazione ancora peggiore delle acque antistanti le coste.
Anche l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) ha protestato per il fatto che i rischi connessi con questa decisione sono stati minimizzati: sono centinaia di milioni le persone vivono di pesca nel Pacifico e il rischio di contaminazione dei pesci sarebbe più elevato di quanto si possa pensare (anche perché le spine dei pesci vengono trasformate in farina di pesce da cui a sua volta si ricavano alimenti per animali e molto altro).
Il problema non è nuovo: nel 2015 il gestore dell’impianto, la Tokyo electric power company (Tepco), aveva iniziato lo sversamento in mare dell’acqua di falda radioattiva. Acqua che, a detta della stessa Tepco, avrebbe dovuto essere filtrata e depurata dal sistema di advanced liquid processing di Hitachi. Un sistema che, secondo quanto rilevato da The Telegraph, non avrebbe affatto eliminato elementi radioattivi come lo iodio, il rutenio, il rodio, antimonio, il tellurio, il cobalto e lo stronzio, causando danni enormi all’ambiente marino. A settembre la stessa Tepco fu costretta ad ammettere che circa l’80 per cento dell’acqua immagazzinata a Fukushima contiene ancora sostanze radioattive al di sopra dei livelli legali.
Sulla pericolosità di questi fluidi si sono espressi in molti. Ken Buesseler, scienziato di chimica marina della US Woods Hole Oceanographic Institution, ha affermato che sarebbe fondamentale rilevare con precisione quali radionuclidi sono presenti in ciascuno dei serbatoi e le loro quantità. “Finché non sappiamo cosa c’è in ciascun serbatoio per i diversi radionuclidi, è difficile valutare qualsiasi piano per il rilascio dell’acqua e gli impatti previsti sull’oceano”.
Shaun Burnie, specialista nucleare di Greenpeace, d’altro canto ha contestato le affermazioni di Tepco secondo cui il trizio è relativamente innocuo. “Le sue particelle beta all’interno del corpo umano sono più dannose della maggior parte dei raggi X e dei raggi gamma”, ha detto. E ha aggiunto che “ci sono maggiori incertezze sugli effetti a lungo termine del trizio radioattivo che viene assorbito dalla vita marina e, attraverso la catena alimentare, gli umani. Lo scarico pianificato di miliardi di becquerel da parte di Tepco non può essere considerata un’azione senza rischi per l’ambiente marino e la salute umana”.
L’unica certezza è che a sette anni dal disastro nucleare di Fukushima Daiichi la gestione delle macerie radioattive e dei materiali di raffreddamento continuano ad essere un gigantesco problema.
Intanto la quantità di liquido radioattivo, a Fukushima, continua a crescere ad un ritmo impressionante: 150 tonnellate al giorno necessari per evitare il surriscaldamento del reattore. Per farlo l’acqua deve essere costantemente pompata all’interno. Ma dal circuito il fluido esce contaminato e quindi deve essere trattato. E non scaricato in mare. Ma farlo comporta costi faraonici che né la Tepco né il governo giapponese pare vogliano sostenere. A questo si aggiunge un altro problema: Per contenere quest’acqua contaminata, i lavoratori addetti alla bonifica – i cosiddetti “liquidatori” – devono costruire ogni quattro giorni un nuovo serbatoio. Ma lo spazio per costruire questi serbatoi si sta esaurendo! Secondo il Ministero dell’economia, del commercio e dell’industria giapponese, i tanks pieni di acqua al trizio occupano già sparsi un’area grande come 32 campi da calcio e l’area prevista per ospitare i serbatoi sarà completamente satura entro pochi anni.