Giappone. Fukushima: non si sa dove scaricare l’acqua di raffreddamento. Il ministro, ‘buttiamola in mare’

di C. Alessandro Mauceri

L’11 marzo 2011, quasi nove anni fa, un terremoto e lo tsunami che ne seguirono danneggiarono la centrale nucleare di Fulushima dimostrando al mondo che non esistono impianti nucleari assolutamente sicuri. Da allora per far fronte a quello che con Cernobyl è certamente il più grave disastro causato da una centrale nucleare della storia, è un ripetersi di scaricabarile di responsabilità e di tentativi di arginare il continuo flusso di radiazioni dal nucleo danneggiato.
Tutte le misure adottate finora sono state dei palliativi. Nel tentativo di raffreddare i reattori danneggiati, ed evitare che fondano e producano nuove fughe di materiale radioattivo, la Tepco (Tokyo Electric Power), la società che aveva in gestione gli impianti, continua ad utilizzare una quantità enorme di acqua.
Nei giorni scorsi è apparso chiaro che anche questa procedura non basterà. Anzi, sarà essa stessa causa di problemi per l’ambiente. L’acqua utilizzata per il raffreddamento diventa radioattiva e per questo deve essere stoccata in appositi serbatoi in attesa di decidere cosa farne. Intorno alla centrale sono stati costruiti un numero spaventoso di serbatoi e pare che la Tepco abbia chiesto di costruirne altri. Ma i progettisti hanno fatto sapere che lo spazio a disposizione comincia a scarseggiare, basterà a stoccare al massimo 1,37 milioni di tonnellate di acqua. Tra pochi anni, si pensa nel 2022, lo spazio sarà esaurito e quindi è necessario iniziare a cercare soluzioni alternative. Il governo giapponese ha incaricato un commissione di esperti, fra i quali membri dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica Aiea, di studiare le possibili soluzioni. Le opzioni indicate dai progettisti sono quanto meno originali: si va da effettuare “iniezioni sotterranee” a vaporizzare l’acqua in eccesso. La soluzione più realistica sembrerebbe scaricare in mare l’acqua utilizzata per il raffreddamento. Lo ha annunciato il ministro dell’Ambiente Yoshiaki Harada, secondo il quale “L’unica soluzione è quella di versarla in mare e diluirla”. “Il governo – ha aggiunto nel corso di una conferenza tenutasi a Tokyo – ne discuterà, ma vorrei offrire la mia semplice opinione”.
Un’affermazione che ha fatto sorgere seri dubbi circa le conoscenze in materia del ministro. Il segretario di gabinetto giapponese Yoshihide Suga ha precisato che i commenti di Harada sono “la sua personale opinione”.
Dal canto suo un rappresentante di Greenpeace della vicina Corea del Sud, Chang Mari, ha espresso parere contrario: “Una volta che quest’acqua contaminata e il materiale radioattivo, il trizio, saranno nell’oceano, seguiranno le correnti marine e si ritroveranno dappertutto, compreso nel mare a est della Corea”. Il trizio è un isotopo dell’idrogeno a bassa radioattività e per questo difficile da rilevare. La sua radiazione potrebbe essere dannosa se il trizio venisse ingerito o inalato.
La tesi proposta dai tecnici che stanno gestendo la centrale di Fukushima inoltre non terrebbe conto del lungo periodo di decadimento delle sostanze radioattive: “Saranno necessari anni perchè la contaminazione radioattiva sia abbastanza diluita per raggiungere un livello sicuro”, ha dichiarato Chang Mari. Ma non basta. Nell’Oceano Pacifico sono ancora visibili i segni lasciati dalle centinaia di test atomici effettuati da USA e Francia. Quella di scaricare le acque utilizzate per il raffreddamento (e per questo leggermente radioattive) non è una novità: le centrali nucleari costiere scaricano spesso in mare trizio, isotopo difficilmente scomponibile e per questo considerato innocuo.
Intanto il ministero degli Esteri della Corea del Sud ha convocato l’ambasciatore giapponese. “L’intero governo – ha precisato Harada – discuterà la questione”. Al momento non é stata diffusa la scadenza entro la quale la commissione dovrà pronunciarsi.