Giappone. Fusako Shigenobu lascia il carcere di Tokio

La Pasionaria del Sol Levante è libera dopo vent’anni.

di Lorenzo Manca

È una figura che sembra uscita da un romanzo quella di Fusako Shigenobu, Pasionaria del Sol Levante che sabato scorso è stata liberata dopo vent’anni di carcere a Tokio. Fusako, classe 1945, proviene da una famiglia conservatrice vicina all’estrema destra giapponese ma abbraccia gli ideali del marxismo e della lotta armata quasi per caso. Sono gli anni del secondo dopoguerra e in un Giappone ancora scosso dalle terribili ferite inflitte dagli americani a Hiroshima e Nagasaki, il processo di americanizzazione politica e culturale non fa che fomentare la comparsa di movimenti di protesta, soprattutto tra i giovani. Negli anni Sessanta Fusako Shigenobu è una studentessa dell’Università di Meiji che prende parte, come molti giovani della sua generazione, a quelle manifestazioni antiamericane passate alla storia sotto il nome di “battaglia contro l’Anpo” che contestavano lo sbilanciamento del trattato di sicurezza firmato tra Giappone e Stati Uniti a favore di questi ultimi. Una scintilla si accende, le teorie rivoluzionarie fanno breccia sulla giovane studentessa, così Fusako aderisce dapprima al sindacato studentesco Zengakuren, per poi passare a formazioni più radicali. Nel 1965, in pieno clima di contestazione antiamericana per la guerra in Vietnam, Fusako figura in prima linea negli scontri di piazza, quindi si arruola in cellule rivoluzionarie di estrema sinistra animate, in realtà, più da un sentimento antiamericano e anti-imperialista che da ideali comunisti. Si guadagna da vivere facendo la cameriera a Tokyo, al contempo entra in contatto con alcuni militanti arabi presenti in Giappone, da quel momento si dedicherà alla causa palestinese per tutta la vita. Le sue attività sovversive entrano presto nel mirino della polizia e Fusako si dà alla macchia; lascia alle spalle il suo passato da studentessa e si trasforma nella “Regina Rossa”, come la ribattezzerà la cronaca di lì a poco.
Nel 1970 lascia il Giappone, destinazione Beirut. Quì stringe un’alleanza con i feddayin del Fronte popolare per la liberazione della Palestina di Wadi Haddad e George Habbash. Fusako lavora per la redazione del giornale Al Hadaf, gomito a gomito con Ghassan Kanafani. Traduce i testi arabi in giapponese e si occupa della propaganda per la causa palestinese per il Sol Levante. Si attiva anche nei campi profughi dove si costruiscono cliniche di fortuna. Richiama volontari giapponesi come medici o esperti di agopuntura, lei stessa diventa infermiera e cura le combattenti palestinesi. La giovane nipponica si distingue e acquista in poco tempo la stima degli arabi dai quali viene ribattezzata Mariam, (per la Stasi, la polizia segreta della Germania, sarà invece soprannominata col nome in codice di “agente Bettina”).
Un anno dopo Fusako fonda la Nihon Sekigum, l’Armata Rossa giapponese, radunando attorno a sé circa quattrocento guerriglieri. Tra loro vi è Tsuyoshi Okudaira, il quale diventa, anche se per poco, suo compagno di lotta e di vita. Il gruppo dissemina cellule anche in Europa, prima in Germania e poi in Italia, dove stabilisce una base logistica a Roma. Tra dirottamenti aerei, sabotaggi e attentati, l’Armata Rossa giapponese entra, nel giro di poco tempo, nel mirino dell’intelligence occidentale.
Nel maggio del 1972, avviene il primo colpo grosso: un commando, capeggiato da Okudaira, il compagno di Fusako, attacca l’aeroporto di Tel Aviv provocando 26 morti e 76 feriti. A lasciarci le penne è lo stesso Okudaira. Inizia, per la vedova guerrigliera, un lungo periodo di clandestinità. Il suo gruppo rivoluzionario entra dapprima al servizio del regime siriano e poi nelle grazie del Colonnello libico Gheddafi, ottenendo cospicui finanziamenti dalla Jamahiriya libica. 
Nel 1988 la «Regina» orchestra un nuovo colpo, questa volta nel Belpaese. Il 14 aprile, nel cuore di Napoli, alle ore 19:49 un’autobomba esplode in Calata San Marco, di fronte a un circolo ricreativo frequentato da marinai americani, provocando cinque morti. Nel 1974 organizza una presa di ostaggi presso l’ambasciata francese dell’Aja in nome della causa palestinese.
Ma la fine della Guerra Fredda e il crollo dell’URSS ridisegnano un mondo dove non c’è più spazio per i movimenti di lotta. L’Armata si disgrega, alcuni guerriglieri si danno ad attività di contrabbando, mentre i più coraggiosi partono in Sud America per appoggiare i movimenti di guerriglia locali. 
Nonostante ciò, la Shigenobu non sembra disposta ad abbandonare l’ideale rivoluzionario. Continua le sue imprese e cerca di depistare l’intelligence firmando i suoi comunicati con la falsa sigla di “Brigate antimperialiste”. Vive per anni all’ombra, riuscendo a farla in barba a spie e servizi segreti di mezzo mondo.
Nel 2000, dopo la cattura di quattro guerriglieri giapponesi a Beirut, Fusako decide di tornare in patria sotto mentite spoglie. Per l’occasione si traveste da uomo. Ma la camicia larga, i capelli corti e un passaporto falso non bastano per farla franca, gli investigatori giapponesi riescono a identificarla.
L’8 novembre del 2000, a 55 anni, dopo quasi trent’anni di clandestinità viene arrestata in un hotel di Osaka. «La lotta continua», afferma sprezzante di fronte alle telecamere.
Quando il tribunale di Tokyo la condanna a vent’anni di carcere, Fusako alza il pugno spavalda. Fuori dall’aula, una piccola folla di fedeli simpatizzanti esulta quando uno degli avvocati della difesa legge un haiku scritto dalla stessa Fusako per l’occasione: «Questo verdetto non è la fine ma l’inizio. La nostra forza di volontà continuerà a diffondersi». In quasi ventun anni di carcere Fusako si tiene attiva e scrive, soprattutto poesie, ma anche un libro incentrato sulla figlia Mei − avuta con un guerrigliero dell’OLP nel ’73 − dal titolo Ti ho messo al mondo sotto a un melo (2001). Il libro, oltre a raccontare il suo impegno politico e la sua vita in clandestinità come madre e come attivista, è valso come prova per far ottenere a Mei − vissuta per 27 anni come apolide − la cittadinanza giapponese.
Il 28 maggio 2022, all’età di 76 anni, Fusako abbandona il carcere di Tokio. Una mascherina in volto e una kefiah palestinese intorno al collo, al suo fianco la figlia Mei. La “Regina rossa” risponde a un giornalista, si dice pentita e chiede scusa per le vittime e il dolore provocati.