Gibuti: una bomba a orologeria?

Mustafa Abdelkarim

Tra i paesi dell’Africa che appaiono marginali vi è Gibuti, ma nella realtà il piccolo paese africano viene ad essere centrale nel movimento geopolitico, dal momento che è stato scelto come obiettivo della costruzuione di basi militari di diversi paesi.
Come e perché Gibuti?
La crescente importanza geopolitica di Gibuti è dovuta a diversi fattori: il primo sono le condizioni difficili in cui versa paese. Si tratta infatti di un paese molto piccolo (23mila km2) e con un numero esiguo di abitanti (circa 950mila secondo il censimento fatto nel 2018); il 25% degli abitanti vivono al di sotto della soglia della povertà con non più di 2 dollari al giorno e, a differenza di tanti paesi dell’Africa, Gibuti si trova senza risorse naturali, senza petrolio e con un’impossibilità ad investire nell’agricoltura e l’industria. Con queste condizioni e con la poca importanza rivestita tra i paesi dell’Africa orientale, i politici di Gibuti hanno cercato soluzioni per sollevare l’ex Somalia francese attraverso i pochi ma importanti vantaggi di cui gode. Gibuti ha una posizione geografica molto interessante con uno sbocco sul Mar Rosso: non si tratta di uno sbocco qualsiasi, bensì di una posizione che permette un controllo totale sullo stretto di Bab Almandab, che collega il Mar Rosso con il golfo di Aden e quindi con l’Oceano Indiano. Si tratta di una posizione geografica considerata di un’estrema importanza, situata anche all’entrata al canale di Suez, dove passano 4.10 milioni di barili di petrolio al giorno e più dell’8% del commercio mondiale.
Un altro vantaggio dell’ex colonia francese è la stabilità politica che la distingue rispetto a stati vicini come Somalia, Eritrea ed Etiopia, ma anche paesi che sono attraversati da guerre come lo Yemen. A Gibuti il presidente Ismail Omer Guelleh governa il paese dal 1999 e sembra godere di un buon consenso fra i gibutiani.
Nel 2001 le forze politiche in Gibuti avevano proposto agli Usa di utilizzare per la lotta al terrorismo la posizione strategica di Gibuti. La proposta fu stata subito accolta dall’amministrazione Bush, che nel 2002 fondò la una base militare; non si trattava della prima della storia del paese, dal momento che c’era già una base della francia, paese dal quale lo Gibuti ottenne l’indipendenza nel 1977. Con la presenza degli Usa il paese ha assicurato una fonte di entrata per il suo Pil pari a 63 milioni di dollari annuali.
La presenza degli Usa nel paese ha aperto la porta ad altre potenze mondiali interessate al Corno d’Africa, l’Italia si è subito fatta avanti assieme alla Germania e al Giappone per aprire le proprie basi militari nello stato di Gibuti.
La presenza dei paesi membri della Nato non è una novità nella zona e non suscita le curiosità, mentre quello colpisce è il passo compiuto dalla Cina con l’apertura di una base militare nel 2017, un passo che ha richiamato l’attenzione soprattutto degli Usa, i quali si sono accorti dell’avanzamento continuo e doppiamente crescente della Cina. Questo ha spinto molti osservatori ad andare oltre il previsto e a dichiarare che la terza guerra mondiale potrebbe partire prprio dallo Gibuti, dove sono presenti più di 4mila soldati americani e una base militare cinese con una capienza totale di 10mila soldati. Oltre a una base militare del Giappone condivisa con l’India. Si può insomma dire che il presidente Guelleh è riuscito nel suo intento di trasformare il suo in un paese che conta. Il Pil dello Gibuti è di 1.8 miliardi di dollari, e più di 900 milioni sono ricavati complessivamente dall’ospitalità che offre alle potenze mondiali.
Finora sembra per Gibuti ci siano solo vantaggi, dal momento che con la presenza di numeri elevati di soldati stranieri il governo è riuscito a rispondere alla disastrosa situazione economica.
Tuttavia sembra che il futuro non riservi punti positivi, e già si sono visti i primi passi verso nuovo conflitti. Gibuti nel 2006 aveva firmato un accordo con gli Emirati Arabi Uniti, accordo che prevedeva la direzione di una parte del porto di Gibuti, la capitale; dopo 10 anni il presidente Guelleh ha deciso di annullare l’accordo con gli Eau dopo aver ricevuto un’offerta dalla Cina per la medesima direzione dello scalo ma con il vantaggio di pagare il triplo e la costruzione di una linea ferroviaria che collega Gibuti con l’Etiopia. Un gesto che non è piaciuto agli Eau e che sta rappresentando una fonte di forte tensione tra gli alleati emiratini e Usa da una parte e la Cina dall’altra, una bagarre finita con la creazione di porti alternativi e concorrenti in Somalia da parte degli Eau con lo scopo di punire Gibuti e diminuire la sua importanza, almeno geografica.
La tensione non è mancata neppure durante la fondazione della base di Pechino, che all’inizio aveva dichiarato di voler costruire una struttura per il controllo delle merci in transito, mentre con il passare del tempo si è rivelata una enorme base militare con capienza di oltre 10mila soldati e che è fornita di tutti gli addestramenti militari necessari. Un fatto che ha preoccupato gli Usa in un modo particolare, che hanno subito costruito un’altra base militare con lo scopo di sorvegliare quella cinese. Questo naturalmente oltre alla concorrenza politica, economica e militare tra la Cina, l’India e la Turchia, che non manca in queste occasioni.
Fino a quando la stabilità sarà mantenuta a Gibuti? Staremo a vedere.