Giornalisti uccisi: i casi che fanno clamore

di C. Alessandro Mauceri

A tre settimane dall’inizio del conflitto in Ucraina sono già tre i giornalisti uccisi (e decine feriti), una situazione grave che i media hanno giustamente sottolineato. Ma nel farlo molti hanno dimenticato che il problema è ben più complesso.
Nei giorni scorsi è stato ucciso Armando Linares López, direttore del sito web di notizie Michoacán Monitor. Gli hanno sparato almeno otto volte fuori da casa sua nella città di Zitácuro. È l’ottavo giornalista messicano ad essere ucciso nel 2022, rispetto ai nove di tutto lo scorso anno. “Le parole mi mancano”, ha twittato Jan-Albert Hootsen, rappresentante messicano per il Comitato per la protezione dei giornalisti, appena informato della notizia, Hootsen ha definito quella attuale una crisi “sconcertante e straziante”. In una conferenza stampa il presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador, ha ribadito che le autorità stanno reagendo: “Stiamo già indagando”, ha detto ai giornalisti il presidente. Ma pochi pensano che il governo potrà fermare l’ondata di omicidi contro i giornalisti in Messico. In questo paese, più del 90% di questi crimini rimane irrisolto. Secondo alcuni, il paese centro americano è uno dei più pericolosi per i giornalisti al di fuori delle zone di guerra.
Secondo RSF, fra il 2010 e il 2020, sono stati almeno 990 giornalisti e membri degli staff di mezzi di comunicazione uccisi a causa o nell’esercizio del loro lavoro. Solo lo scorso anno 55 giornalisti e lavoratori dei media hanno perso la vita solo perché facevano il proprio lavoro (dati UNESCO). Un numero più basso rispetto agli ultimi anni ma pur sempre un problema rilevante. L’indicatore del World Press Freedom Index relativo agli abusi perpetrati nei confronti dei giornalisti, che considera non solo il numero degli attacchi, ma anche la loro gravità, mostra un peggioramento della situazione mondiale. Anche nell’Ue numero di abusi ai danni dei giornalisti è notevole, si pensi alle vittime degli attacchi contro Charlie Hebdo in Francia, agli omicidi di Daphne Caruana Galizia a Malta nel 2017, di Jan Kuciak in Slovacchia nel 2018 e, nel 2021, di Giorgios Karaivaz in Grecia e Peter De Vries in Olanda.
Nel 2013, due terzi delle uccisioni avvenivano in Paesi in guerra. Ora questa tendenza si è invertita: due terzi delle uccisioni non si sono verificate in paesi in guerra. Un cambiamento che dovrebbe far riflettere. Nel 2021, la maggior parte delle uccisioni è avvenuta in Asia (23 uccisioni) o nell’America Latina e Caraibi (14). A queste si aggiungono un numero incalcolabile di arresti, attacchi fisici, intimidazioni e molestie. Vittime soprattutto le giornaliste, spesso oggetto di molestie online: un rapporto pubblicato dall’UNESCO riporta che quasi tre quarti delle giornaliste ha subito violenze online legate al proprio lavoro.
Crimini che spesso restano impuniti: l’87% di tutti gli omicidi di giornalisti dal 2006 ad oggi sono ancora irrisolti. “Troppi giornalisti hanno pagato il prezzo finale per portare la verità alla luce”, ha dichiarato il direttore generale dell’UNESCO Audrey Azoulay. “In questo momento, il mondo ha bisogno di informazioni indipendenti e basate sui fatti più che mai. Dobbiamo fare di più per garantire che coloro che lavorano instancabilmente per fornirla possano farlo senza paura”.
Si tratta di un problema noto da anni: nel 2006, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adottò la risoluzione 1738 sulla protezione, nei conflitti armati, dei giornalisti, dei professionisti dei media e del personale ad essi collegato. In questo documento si parlava di “responsabilità degli Stati di (…) porre fine all’impunità e perseguire i responsabili di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario”.
Nel 2015, in un’altra risoluzione sulla protezione dei giornalisti (2222), il Consiglio di Sicurezza parlò di nuovo del fatto che “l’impunità per i crimini commessi contro i giornalisti nei conflitti armati rimane una sfida considerevole”, “condannava con forza” tale impunità “che… può contribuire al ripetersi di tali atti”e “sollecitava gli Stati membri ad adottare misure adeguate per (…) condurre indagini imparziali, indipendenti ed efficaci nelle proprie giurisdizioni e per consegnare alla giustizia i responsabili dei crimini”.
Anche l’Assemblea Generale dell’ONU ha adottato numerose risoluzioni sulla questione dell’impunità dei crimini contro i giornalisti: nel 2013, nel 2014, nel 2015, nel 2017, nel 2018, nel 2019. Nel 2021 il Piano d’azione per la sicurezza dei giornalisti e la questione dell’impunità si è prefisso di “formulare un approccio trasversale alle Nazioni Unite, onnicomprensivo, coerente ed orientato all’azione, per la sicurezza dei giornalisti e la questione dell’impunità”.
Oggi, nel 2022, non si può non prendere atto che questi obiettivi non hanno ottenuto i risultati che ci si aspettava. E che quello di giornalista continua ad essere un mestiere pericoloso.