Gli ambientalisti delle parole

di C. Alessandro Mauceri

Ormai non ci sono più dubbi: le promesse per “salvare” l’ambiente fatte dai leader mondiali non sono state mantenute. I primi a non farlo sono stati proprio i paesi più sviluppati, quelli più industrializzati ma anche quelli che inquinano di più. Molto di più dei paesi poveri.
Il metodo per distogliere l’attenzione dai veri numeri dell’inquinamento e del mancato rispetto degli impegni presi è sempre lo stesso: apparire sui media, magari con la ragazzina ambientalista di turno. E fare promesse che parlano di un futuro lontano. Molto lontano. È un clichè visto e rivisto. A lanciare questa moda fu Severn Suzuky, nel 1992. A soli tredici anni tenne (o meglio, lesse) un accorato discorso di sei minuti davanti ai delegati delle Nazioni Unite in rispettoso silenzio. Poi fu la volta di Malala Yousafzai, studentessa pakistana sopravvissuta al tentativo di assassinio per aver difeso i diritti all’istruzione delle donne: anche lei parlò alle Nazioni Unite di “migliaia” di ragazze come lei in tutto il mondo che lottano per la stessa causa. Ora vive nel Regno Unito. E poi tre anni fa Yeonmi Park, fuggita dalla Corea del Nord, era il periodo delle scaramucce tra Trump e Kim Jong-Un. Due anni fa è stata la volta di Autumn Peltier, un tredicenne indiana d’America che parlò ai leader mondiali riuniti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York City in occasione della Giornata mondiale dell’acqua. E poi…. La lista delle adolescenti chiamate a parlare alle Nazioni Unite o a colloquio con i leader mondiali (la Thunberg al Parlamento europeo e alla Commissione europea già in lockdown per la pandemia nel 2020) è ormai uno stereotipo usato e abusato, visto e rivisto: quando si deve parlare di “ambiente” basta chiamare una giovane adolescente e invitarla a tenere un discorso o ad incontrare questo o quel leader; anche la scelta di chiamare a parlare attori e personaggi famosi dello spettacolo è più che abusata. Gli stessi che poi vivono in megaville e, da soli, hanno un impatto sull’ambiente maggiore di quello di una piccola comunità africana o di un paese asiatico. I media parlano di questi eventi per giorni. E nessuno pensa più alle vere cause dei problemi ambientali.
Problemi come quelli segnalati da Henrietta Holsman Fore, direttore esecutivo dell’UNICEF, che in una lectio magistralis tenuta all’Accademia nazionale dei Lincei ha parlato dell’importanza di agire sui cambiamenti climatici per il bene di tutti i bambini e delle generazioni future. Impegni già sottoscritti da tutti i leader mondiali, ma mai rispettati. Del discorso della Fore pochi hanno parlato. E pochi hanno parlato del miliardi di bambini a rischio a causa dei danni ambientali o delle stime che parlano di centinaia di milioni di profughi ambientali nei prossimi decenni. Si preferisce concentrare l’attenzione sulla piccola (anche se è ormai maggiorenne) Greta accompagnata da altre due ragazzine (nemmeno un ragazzo: che fine ha fatto la par condicio?) che hanno incontrato il Presidente del Consiglio Draghi.
Parole, parole, parole, ma niente di concreto. I numeri, quelli che i ricercatori conoscono bene , e forse è per questo che nessuno di loro viene invitato a questi incontri, dicono che per l’ambiente si sta facendo davvero poco. Certamente meno di quello che si dice e si promette negli incontri con le adolescenti di turno.
A livello globale le emissioni di CO2 aumentano. E la colpa non è dei paesi poco sviluppati. I principali responsabili sono proprio i paesi più “evoluti” e industrializzati. Gli stessi che da sempre, da quando si parla di ambiente dagli accordi di Kyoto e poi a Parigi fino al New Green Deal dell’Ue, hanno consentito alle multinazionali e alle grandi imprese di emettere oltre il dovuto grazie al fenomeno della “compensazione”. Nell’Ue del New Green Deal (anche mettere il termine “green”, “verde”, è marketing) esiste un ente istituzionalmente dedicato agli “scambi” di CO2. Anche la Cina recentemente ha istituito un organismo analogo per la compensazione delle emissioni di CO2. Un modo per consentire alle megaindustrie di continuare ad inquinare grazie allo scambio con altri paesi o altri soggetti. Ma senza parlarne sui media. Di questo nessuna delle ragazzine ambientaliste o dei leader che hanno voluto incontrarle ha detto una parola. Nessuno ha parlato di consumi energetici che crescono. E nessuno ha parlato delle responsabilità internazionali per temi delicati come l’acqua o l’aria. A livello globale le maggiori riserve di acqua dolce sono condivise, questo dovrebbe far pensare ad un sistema che regolamenti gli scambi. Specie considerando che la popolazione aumenta ma le riserve di acqua dolce (e potabile) diminuiscono. A nessuno sembra importare della gestione della foresta amazzonica e del ruolo che ha sull’ecosistema globale. Nessuno ha rivolto i propri accorati appelli al Brasile, che ha appena aperto un bando per produrre energia elettrica con nuove centrali a carbone. E nessuno si è rivolto alle multinazionali. Di certo le maggiori responsabili delle emissioni di CO2.
L’ambiente è diventato “spettacolo” e marketing. Gli incontri tra i leader mondiali e le passerelle come le piccole ambientaliste si sono moltiplicati. Poi, spenti i riflettori e le telecamere si fa tutto il contrario. A dirlo sono i numeri. La produzione di plastica sta aumentando a ritmi impressionanti. Le scadenze per ridurre le emissioni di CO2 vengono prorogati di decennio in decennio. E ogni volta si scopre che gli obiettivi che i paesi si erano prefissati erano “sottostimati”. Secondo l’ultimo rapporto EEA Signals 2021 – Europe’s nature”, pubblicato dall’European Environment Agency (EEA), i progressi non sono stati sufficienti per raggiungere gli obiettivi della strategia dell’Ue sulla biodiversità per il 2020. “La maggior parte degli habitat e delle specie protetti presenta uno stato di conservazione scadente o cattivo e molti continuano a diminuire”, si legge nel rapporto. Secondo l’EEA Signals 2021, “l’impatto delle attività umane sulla terra e sull’uso dei nostri mari ha comportato cambiamenti nel numero e nella distribuzione delle specie e degli habitat marini e cambiamenti nella composizione fisica e chimica complessiva dei mari. In aggiunta a ciò i problemi causati dal cambiamento climatico stanno peggiorando gli impatti delle altre minacce e sono destinati a modificare gli ecosistemi marini in modo irreversibile”.
I leader mondiali si sono guardati bene dall’incontrare questi ricercatori, ognuno con decenni di esperienza alle spalle e un curriculum scientifico impressionante. Hanno preferito farsi riprendere con la ragazzina ambientalista di turno. E con lei, o loro come nel caso dell’ultimo incontro di Draghi con Greta e le sue amiche, fare belle promesse. Ma senza parlare di dati come quelli dell’ultimo report di Legambiente, secondo il quale “nel 2020 ammonta a 34,6 miliardi di Euro il costo totale dei sussidi ambientalmente dannosi, suddivisi tra i settori energia, il più numeroso con 24 diversi sussidi per complessivi 12,86 miliardi di Euro l’anno; il settore trasporti con 15 voci e 16,6 miliardi di Euro di sussidi tra diretti e indiretti; il settore agricolo con 5 voci e 3,1 miliardi di Euro; quello edile con 1,1 miliardi di Euro l’anno distribuiti in 3 voci e quello legato alle concessioni ambientali con 812,59 milioni di Euro l’anno e 4 diverse voci da attenzionare di sussidi indiretti”.
Spente le telecamere si sottoscrivono misure tutt’altro che ambientaliste. Come imporre ai cittadini di cambiare televisore, e il danno per l’ambiente in termini di rifiuti che questo provocherà sarà tremendo. Si continua a trivellare i mari in cerca di petrolio. Si favorisce il trasporto delle merci attraverso il pianeta. Che fine hanno fatto alcune politiche sventolate a quattro mani come “plastic free” e “km zero”? Dove è finita la decisione di mettere al bando le plastiche monouso? Possibile che nessuno dei “nuovi ambientalisti” sappia che buona parte della banane o degli ananas venduti nei paesi occidentali e spesso prodotti grazie allo sfruttamento del lavoro minorile hanno attraversato mezzo pianeta sulle navi portacontainer, con un danno per l’ambiente incalcolabile? O che il cellulare sempre più aggiornato e all’ultimo grido o il tablet che usano comporta un danno sociale e ambientale enorme? Perché nessuno parla dei SIN, dove la gente muore a causa dell’inquinamento dell’ambiente dalle grandi industrie? Nessuno ha parlato delle scuole: tutte dotate delle nuove sedie, rigorosamente di plastica (!), e con aule dotate di LIM e impianti di aria condizionata, ma in edifici spesso privi di agibilità o certificazioni di sicurezza (i dati del MIUR lasciano a bocca aperta). Le lezioni non si tengono più su quaderni, magari di carta riciclata, ma su tablet che, oltre ad aumentare il gap sociale tra gli alunni causano un aumento dei RAEE.
Al termine dell’incontro con Greta Thunberg e le attiviste Vanessa Nakate e Martina Comparelli (questi i nomi delle altre due ragazze ambientaliste), Draghi ha detto che “è andato benissimo” e che le proposte arrivate dallo Youth4Climate sono “ragionevoli e costituiscono un grande programma di azione per tutti i nostri governi. Noi adulti abbiamo creato questo problema, non i giovani, e miliardi di giovani vivono in paesi dove le emissioni sono le più basse del mondo perché c’è povertà”.
Un modo strano per giustificare i danni causati all’ambiente. Forse, visti i danni che i paesi sviluppati stanno facendo all’ambiente, era meglio essere poveri che continuare a distruggere il pianeta.