Aodi, ‘Gli italiani in Siria? Una cinquantina. Ma per fermare il conflitto serve il dialogo’

di Enrico Oliari –

aodi grandeFoad Aodi è uno di quei medici che non cura solo i malati. Foad Aodi, italiano di origine palestinese, è una di quelle persone che vuole dare il suo contributo per un mondo migliore, dove a dover essere curate sono le ingiustizie, con la terapia del dialogo, della cooperazione e del farsi tutti carico dell’impegno per la pace e per l’integrazione.
Persona dinamica e piena di energia, presiede la Co-mai, la Comunità del mondo arabo in Italia, l’Amsi, l’associazione dei medici stranieri in Italia ed è fondatore del movimento “Uniti per unire”.
Recentemente è intervenuto sulla questione del giovane genovese Giuliano Ibrahim Delnevo, caduto in Siria mentre combatteva ad Aleppo contro le truppe del regime con i ribelli venuti dalla Cecenia, ed ha dichiarato che sono 45-50 gli italiani, non tutti stranieri che hanno conseguito la cittadinanza, che in questo momento si trovano da quelle parti, a sparare o a essere uccisi.
Tuttavia in Siria vivono dal 1948 anche profughi palestinesi, scappati dalla guerra di occupazione delle loro terre da parte degli israeliani: dottor Aodi, come vivono i palestinesi la questione siriana?
“Più che facendomi portatore del pensiero dei palestinesi che vivono in Palestina, vorrei parlare a nome dell’associazione che rappresento e magari della Comunità palestinese in Italia: per noi tutti è molto importante la tutela del popolo siriano, per cui noi non siamo ne’ pro, ne’ contro  l’una o l’altra fazione. Siamo di certo contrari ad un intervento straniero, per non correre il rischio di trasformare la Siria in una nuova Libia o in un nuovo Iraq. I siriani devono infatti trovare le soluzioni che portino alla pace da soli, come avviene anche per noi palestinesi. Ovviamente siamo per una politica europea ed italiana forte, fino ad oggi mancata, come nel caso delle “primavere arabe” fallite”.
– Perché sono fallite?
“Non hanno prodotto quello che noi speravamo, non hanno saputo dare risposte alle richieste dei giovani e della gente: la disoccupazione è aumentata, il tasso di libertà non è variato, le elezioni libere spesso non ci sono. Per questi motivi serve un intervento politico maggiore da parte di Onu e di Unione europea, ma spero anche che l’Italia possa rifarsi e riconquistare il tempo perduto, dal momento che non ha saputo portare avanti iniziative autonome: ho fiducia nel ministro Bonino, che conosce bene il mondo arabo”.
– In Siria vi sono profughi palestinesi, specialmente presso il campo di Yarmouk: che notizie hai di loro?
“So che sono aiutati dai palestinesi della Palestina, che al momento non hanno espresso posizioni ne’ a favore, ne’ contro al-Assad, anche per non subirne le conseguenze…”.
– Esiste un pericolo di affermazione del radicalismo islamico, laddove prendono campo i ribelli?
“Io nutro la speranza che prevalga la volontà popolare al di là delle ideologie politiche e religiose: nel mondo arabo non ci sono solo i musulmani, ma anche altre religioni, come i cristiani cattolici ed i copti; ci deve essere democrazia, non radicalismo, che comunque rappresenta il caso di episodi isolati, amplificati dalla notizia che fanno. Io, personalmente, credo che i paesi arabi debbano essere laici”.
– Parliamo della partecipazione di stranieri nelle file dei ribelli, intendo dire di occidentali: lei ha dichiarato alla stampa che i combattenti italiani in Siria sarebbero una cinquantina… quali sono le sue fonti?
“Il caso del cittadino italiano convertito all’Islam, ucciso ad Aleppo, mi ha colpito, per cui ho telefonato a conoscenti in Italia ed in Siria: vi sono anche italiani non convertiti, che combattono a fianco del popolo siriano. Ne vorrei approfittare, piuttosto, per lanciare un appello al Governo, poiché, purtroppo, noi della Comunità araba in Italia avvertiamo che l’Islam viene identificato con il terrorismo e quindi se ne trae un’opinione distorta. L’Islam è dialogo, è pace, è tutela della persona… occorre quindi promuovere un accordo fra il Governo italiano e la religione musulmana, come d’altronde avviene per le altre religioni: i musulmani in Italia sono 1,3 milioni e serve combattere ogni forma di estremismo, ma anche di pregiudizio”.
– Le varie religioni hanno, tuttavia del leader: con chi si dovrebbe interloquire, del mondo arabo in Italia?
“In particolare con l’ambasciatore dell’Arabia Saudita, che presiede il Centro culturale islamico della Grande moschea di Roma; quindi con il decano degli ambasciatori musulmani ed arabi in Italia; poi con le principali associazioni impegnate ormai da qualche anno nella promozione dell’integrazione, della reciproca conoscenza e rispetto. Faccio qualche esempio: occorre parlare di libertà di culto, di sanità, di accoglienza negli ospedali, di cimiteri per musulmani, di festività musulmane che, attualmente, non sono considerate giorno di festa, dei nostri figli nelle scuole. In Italia ci sono anche i musulmani di seconda generazione, ed ancora 80mila italiani convertiti.
– Tuttavia è sempre più difficile essere cristiani nei paesi musulmani: manca la reciprocità!
“Non ne dubito, occorre anche avviare un dialogo nel mondo musulmano”.
 – Rimetto l’accento sulla questione degli europei in Siria: ha sostenuto che ci sono anche donne…
Ad Aleppo vi sono una donna italiana ed una spagnola. Sono oltre seicento gli europei che combattono in Siria, arrivati attraverso la Turchia; la maggioranza di loro non combatte per convinzioni religiose, ma per solidarietà al popolo siriano.
– Che ne pensa dell’immobilismo della Comunità internazionale?
“Non vi è un’assoluta convinzione delle azioni delle opposizioni, anche perché le opposizioni stesse hanno dato diverse versioni del proprio operato o delle proprie motivazioni. Serve il dialogo, la Comunità internazionale dovrebbe dialogare con tutti. Anche con al-Assad: parlargli, non significa dargli ragione o torto, ma cercare una mediazione stando sopra le parti”.