Guatemala. Nel paese dell’effimera primavera. L’opinione di Ana Silvia Monzón Monterroso

a cura di Maddalena Pezzotti

In Guatemala sono state indette elezioni generali per il 16 giugno. Per la massima carica, si propongono ben diciotto contendenti fra cui tre donne. L’asprezza degli estremi fra ricchi e poveri, indigeni e ladinos, urbe e campagna, sinistra e destra, perpetua, tuttavia, atteggiamenti polarizzati e intolleranti. L’assenza dello stato apre breccia a delinquenza, povertà, disoccupazione, mancanza di servizi dignitosi nel campo dell’educazione, la salute, l’infrastruttura. Nel dibattito interno si parla, senza mezzi termini, di un collasso istituzionale e sociale.
L’opinione della sociologa Ana Silvia Monzón Monterroso, docente dell’Università San Carlos e della Facoltà Latinoamericana di Scienze Sociali, autrice e locutrice del fortunato programma radiofonico “Voces de Mujeres”, ci aiuta a comprendere le dinamiche di una nazione, dove interessi antichi e nuovi, e le fratture non sanate di una lunga guerra, minano la sicurezza e lo sviluppo.

– Gli analisti dicono che le candidature appaiono come un sintomo di longevità della vecchia classe politica e di temi scontati, disegnati per il vantaggio di imprese e corporazioni, con l’appoggio di pensatori organici del potere tradizionale. Nel 2015 ci fu una forte domanda di rinnovamento generazionale, non rispecchiata da questa tornata, che sembra orientata a mettere all’angolo gli attori emergenti, coinvolgendoli in un dialogo sterile, dove la sola strada percorribile diventa l’autodifesa da attacchi incessanti. È in atto un progetto conservatore in funzione del mantenimento dello status quo?
“La manovra reazionaria si è manifestata in pieno nelle decisioni dell’establishment, giudicate irregolari dalla corte costituzionale, riguardo la prosecuzione del lavoro della Commissione internazionale contro l’impunità in Guatemala (Cicig), questione sulla quale l’esecutivo è entrato in collisione con il segretario-generale delle Nazioni Unite. In molti definiscono la crisi apertasi, un tentativo di golpe tecnico, in quanto crea incertezza sulla stessa convocazione di libere elezioni. Il progetto conservatore è stato egemonico dal diciannovesimo secolo, quando ebbe luogo l’indipendenza dalla Spagna, senza che si producessero trasformazioni significative, se non per la cerchia creola. Nel ventesimo secolo, è germogliato un decennio di alleanza civico-militare, che però non è riuscita a consolidarsi. La promessa di questo periodo è stata interrotta dall’invasione statunitense del 1954. Da allora, c’è stata una sequenza di dittature militari che, sotto le convenzioni della sovranità popolare, hanno vinto un suffragio dopo l’altro, attraverso il clientelismo e la repressione. L’esercizio della cittadinanza si è venuto riducendo fino a chiudersi e, con lo spauracchio di un’incombente invasione straniera di stampo comunista, si sono raggiunti livelli di inumana violenza, caratterizzata da una strategia del terrore, sequestri, massacri, la distruzione di intere comunità, e l’esilio forzato di migliaia di persone. La spinta degli accordi di pace del 1996, che si prefiggevano di terminare con questa maniera di intendere il governo, si è presto esaurita. Ancora una volta, non sono stati realizzati i cambi strutturali accordati e le élite sono tornate al modo di operare di sempre, al centro del quale risiede la cooptazione delle istituzioni di giustizia, senza le quali non può prevalere uno stato di diritto, né consolidarsi una democrazia, dove possano prosperare idee e organizzazioni con reale capacità di incidenza”.

– In effetti importanti organi di stampa hanno evidenziato che la massiccia presenza di avvocati, nei binomi presidente-vicepresidente, riveli l’intenzione dei partiti di tenere sotto controllo la corte suprema e le corti di appello, le cui nomine avverranno nel corso dell’anno. Altri affermano che questi avvocati sono associati, diretta o indirettamente, a studi che difendono reti colluse con la corruzione e la criminalità, in un paese dove l’impunità è uno dei principali problemi.
“Senza ombra di dubbio. Dal 2017, si è cercato di smantellare delle misure introdotte con fatica nella magistratura, la pubblica amministrazione, e la gestione delle risorse dello stato, per tornare a schemi di simulazione dell’onestà e la giustizia. Il commissario della Cicig, Iván Velásquez, è stato dichiarato persona non grata e funzionari sono stati rimossi in ministeri chiave, con grandi retrocessi nella trasparenza. A questo si è sommato un ampliamento di spazio e risorse concesse all’esercito. Le proteste sono emerse principalmente dalla società civile, dove ha preso piede un movimento intorno allo slogan “in queste condizioni, non vogliamo elezioni”. Le aspiranti coppie presidenziali non mostrano traccia di possibili miglioramenti; all’opposto, in alcuni casi si leggono segnali di un ulteriore aggravamento”.

– Non passa inosservato il nome di Zury Ríos, ex deputata e figlia di Efraín Ríos Montt, conosciuto per un golpe, il bando dei partiti, e una condanna di ottanta anni per il genocidio del popolo maya. Non solo gigantografie del padre campeggiano sui palchi della campagna, ma ha anche annunciato un’alleanza con l’agenzia di sicurezza del dipartimento di difesa degli Stati Uniti, principale responsabile della destabilizzazione e violazione dei diritti umani in Guatemala, le cui conseguenze sono ancora oggi palpabili nella società. Cosa ci si può aspettare da questa e le altre designazioni al femminile?
“Purtroppo le dimissioni di Otto Pérez Molina non sono andate oltre la rinuncia stessa e continua a essere pervasiva una mentalità che strizza l’occhio all’uomo forte e a regimi di stampo militare (Pérez Molina, negoziatore dell’esercito per gli accordi di pace, direttore dell’intelligence militare, e presidente della repubblica dal 2012 al 2015, è stato costretto alle dimissioni su imputazioni di corruzione della Cicig, per le quali è stato arrestato, ndr). Zury Ríos cavalca questa turpe attrazione. Il fatto che nel ventaglio ci siano tre candidate è inedito; ma sebbene le femministe guatemalteche si battano da un quarto di secolo per ampliare la partecipazione politica delle donne, non si può negare che quest’ultime non siano immuni al dispotismo e al nepotismo. Il caso di Sandra Torres (arrivata al ballottaggio con l’attuale presidente Jimmy Morales, ndr) è diverso e simile. Legata alla cupole del settore privato, e moglie del già presidente Álvaro Colom Caballeros, ha divorziato dal marito, alla testa del suo partito, in modo da aggirare il divieto di concorrere imposto alle ex prime dame (l’intenzione è quella di prevenire governi per interposta persona noti nella regione latinoamericana e la perpetuazione di caste, ndr), e ha poi esercitato pressioni sulla corte costituzionale in modo che si ribaltasse una prima sentenza negativa su questa dubbia operazione. Nel suo ruolo di prima dama, venne accusata di divergere fondi del bilancio dello stato a favore del suo ufficio. Thelma Aldana ha un curriculum di tutto rispetto: presidente della corte suprema, capo del dipartimento di giustizia, ha condotto inchieste sulla corruzione nei gangli del potere e ha dato il via a corti speciali per giudicare i delitti di femminicidio. Uno dei due partiti della sua coalizione, nondimeno, è stato espulso dalla competizione per presunti sovvenzionamenti illeciti, e non è chiaro da chi sarà sostenuta”.

– Il tribunale supremo elettorale ha avvallato un totale di trenta partiti. Alcuni imbastiti in vista della corsa presidenziale, compiendo il requisito minimo di 22.671 iscritti, parrebbero servire per lo più da veicolo di consenso, o da paracadute per dissidi irrisolti in seno a quelli maggiori, o da network per affari territoriali sovrintesi dai finanziatori. A ventidue anni dagli accordi di pace, a che punto si trova la cultura politica del paese?
“La tessitura di una società democratica, dopo l’orrore di quasi quattro decadi di conflitto armato interno, plasmata negli accordi di pace è stata disattesa. Non sono stati fatti gli sforzi necessari per divellere la radice reazionaria e costruire un civismo etico e critico che obbliga ad agire con irreprensibilità. Persino i più giovani, come sta peraltro avvenendo in molti luoghi del mondo, si pronunciano a favore di piani conservatori, all’inseguimento della stabilità. L’autoritarismo è talmente profondo da richiedere un patto trasversale e un investimento di varie generazioni, per profilare la nuova dimensione auspicata. La cultura politica, invece, privilegia sistemi di protezione clientelare che impediscono la redistribuzione equitativa della ricchezza e ampliano le brecce economiche”.

– Il registro, secondo la riforma della legge, chiuderà a centoventi giorni dall’election day, ossia il 16 febbraio. Rimangono due milioni di persone da inserire nelle liste ufficiali. Il diritto al voto sarà garantito?
“Uno dei debiti non pagati da quando, circa trent’anni fa, venne iniziata in centroamerica la transizione dei regimi militari in processi politici civili, è quello della cittadinanza piena. Se nella costituzione del 1985 si riconobbe il principio di uguaglianza fra donne e uomini, e si abbozzò il riconoscimento dei popoli indigeni [compiuto nell’accordo su identità e diritti dei popoli indigeni firmato in Messico nel 1995, ndr], i presupposti politici, economici, culturali e simbolici, affinché questi si rendano effettivi, non si sono dati, e predominano ostacoli espliciti e impliciti che limitano la partecipazione, o pur solo l’iscrizione al registro. Nel congresso della repubblica non si riesce a ottenere il 15 per cento di rappresentazione femminile. Il numero di funzionarie di alto livello è minimo, e quando si tratta di donne indigene e afro-discendenti, la situazione precipita. Uno dei gruppi che ha lottato con successo per la propria inclusione è quello dei migranti. In base alle cifre divulgate, il 10 per cento della popolazione guatemalteca è emigrata, principalmente negli Stati Uniti. Nel 2019, si darà l’opportunità a quasi due milioni di persone, le cui rimesse sorreggono buona parte dell’economia, di esercitare il proprio diritto al voto”.