
di Dario Rivolta * –
Giornali e televisioni continuano a parlarci delle trattative di pace per le guerre in Ucraina e a Gaza citando i luoghi ove si stanno tenendo o potrebbero farlo. Purtroppo chi è realista sa bene che non solo nessuna vera trattativa è oggi realistica altrettanto lo sono le possibilità di una reale tregua. Ovviamente, ogni parte nei conflitti (e i loro sponsor) accusa l’altra di mentire e di non volere davvero una soluzione pacifica mentre da parte propria la volontà è sincera e pronta. La verità è che tutti stanno solo facendo propaganda o teatro e le guerre, salvo cambiamenti importanti e improvvisi, continueranno. Vediamo le cose come stanno davvero.
Gaza.
Lo scopo dichiarato di Israele, sin dal momento in cui ha deciso di invadere la Striscia, è stato quello di distruggere Hamas. Certamente vorrebbe anche ottenere il rilascio dei prigionieri, ma se siamo sinceri sappiamo che questo è per Benjamin Netanyahu un obiettivo secondario e non il primo. Strada facendo, le anime più oltranziste del governo di Tel Aviv hanno immaginato di eliminare non solo i fanatici che hanno da sempre come scopo finale l’eliminazione di Israele, ma anche di ottenere che gli abitanti di quel territorio se ne vadano altrove. Dove? Ai nazionalisti e agli integralisti religiosi ebrei (si parla espressamente di “ebrei” e di “religiosi”, perché molti israeliani hanno idee ben diverse da quei fanatici) non interessa perché sono ancora convinti che tutta quella terra è stata assegnata a loro direttamente dal loro dio. Diversamente dal desiderio nutrito, eliminare del tutto Hamas si è dimostrato impossibile poiché le distruzioni causate e le decine di migliaia di morti da parte palestinese non saranno facilmente dimenticate da amici e parenti che, di conseguenza, vedono oggi nel gruppo terrorista l’unica possibilità di ottenere prima o poi la meritata vendetta. L’esercito israeliano, salvo che un sommovimento interno non costringa Netanyahu e i suoi accoliti a lasciare il comando, continuerà nelle operazioni in corso sino a che non spopolerà la Striscia o non avrà la certezza che Hamas non sarà più in grado di nuocere né oggi né domani.
Da parte loro i terroristi palestinesi sanno che più morti civili l’Idf farà a Gaza più aumenterà la solidarietà mondiale verso la loro causa. Quando nello scorso ottobre attaccarono il territorio israeliano commettendo quella famigerata carneficina avevano due obiettivi: suscitare la reazione israeliana per fermare l’avvicinamento dell’Arabia Saudita all’Accordo di Abramo e rinnovare tra tutte le popolazioni arabe la convinzione che il “problema palestinese” non solo era ancora vivo ma che Israele non era così imbattibile come qualcuno aveva cominciato a temere. Procurarsi gli ostaggi serviva a ricattare Tel Aviv e porsi come negoziatore ineludibile. Anche oggi i guerriglieri si mischiano tra i civili con il medesimo scopo: è brutto dirlo ma maggiore è il numero dei morti, specialmente i bambini, più la loro propaganda otterrà il risultato di isolare Israele sulla scena internazionale. Supponendo che un certo numero di ostaggi sia ancora vivo, non ci sarà nessun negoziato che li costringerà a rilasciarli tutti a meno che non si crei una qualche condizione che permetta ad Hamas di dichiararsi in qualche modo come “vincitore”. Ogni trattativa in corso, se anche potesse sembrare conclusiva, non farà che spostare il problema nel tempo.
Ucraina.
Chiunque sia intellettualmente onesto e ben informato sa che questa guerra è cominciata a causa della volontà americana di “contenere” la Russia. Cioè di circondarla militarmente per tenerla soggiogata al dominio americano. Magari, se possibile, arrivare a favorirne lo scioglimento come avvenne per l’URSS. L’operazione non è cominciata nel 2022 né nel 2014, bensì già negli anni ’90 con la presenza invadente in Ucraina di ONG americane e con la successiva operazione europea detta “Eastern Partnership”. Probabilmente ci si aspettava che la Russia semplicemente subisse, magari protestando (cosa che fece a più riprese) ma senza osare un attacco militare. Evidentemente quei calcoli sottovalutarono le reazioni di Mosca e sottovalutarono anche la volontà strategica russa di mantenere necessariamente una base per la marina militare in Crimea. Fatta salva la questione crimeana, se nel 2014 il Parlamento ucraino avesse provveduto ad adempiere agli impegni sottoscritti a Minsk I e II (trasformazione del Paese in una federazione e mantenimento del russo come seconda lingua) la guerra non sarebbe mai scoppiata. Purtroppo a Kiev, a Parigi, a Londra e a Berlino si pensò diversamente.
Ricordare questi fatti è indispensabile per capire tutto quanto è successo dopo e le ragioni della situazione in cui ci troviamo oggi.
Donald Trump, che nel suo primo mandato si era accodato al tradizionale concetto americano di un mondo unipolare dopo la fine dell’URSS, ha capito che quel mito è definitivamente morto e punta ora a un mondo multipolare (con Russia Cina e, forse, India) che comunque garantisca agli USA una posizione preminente. È con questa visione che si spiega il suo atteggiamento dialogante con Putin e non, come stupidi propagandisti han cominciato a dire, per interessi personali pregressi o presenti. Per non smentire apertamente quanto lui e altri presidenti hanno fatto in Ucraina nel passato sta cercando di convincere tutti che gli USA sono soltanto terza parte e che questa guerra è solo colpa di ucraini e di russi. È fingendosi (quasi) neutrale che si mostra alfiere della ricerca della pace tra i contendenti. Se potesse farlo senza trovare troppi ostacoli al suo interno, sospenderebbe immediatamente ogni aiuto finanziario e in armi a Kiev. Per convincere anche la sua opinione pubblica che l’aiuto dato sinora è stato un errore di chi l’ha preceduto ha costretto Zelensky a firmare un accordo secondo il quale gli ucraini restituiranno quanto ricevuto consentendo alle aziende americane di sfruttare le ricchezze naturali locali sino all’estinzione del debito. In realtà questo accordo non sarebbe nemmeno stato necessario poiché Blackrock e J.P. Morgan avevano già ottenuto sin dalla primavera 2022 di essere i master della possibile futura ricostruzione dell’Ucraina (e gli europei continuano a illudersi…).
Attualmente Volodymyr Zelensky finge di voler negoziare e Putin altrettanto ma è chiaro che una pace sarà possibile soltanto quando tutti accetteranno le condizioni minime richieste da Mosca: riconoscimento di Crimea e Donbass come parte della Federazione russa, neutralità militare e politica dell’Ucraina (come fu per l’Austria e la Finlandia dopo la fine della seconda guerra mondiale), eliminazione delle sanzioni economiche contro la Russia o loro riduzione. Anche Zelensky sa benissimo che, poiché la Russia sta vincendo sul piano militare e ha già inglobato quei territori nella Federazione, Mosca non potrà mai acconsentire a soluzioni diverse. Purtroppo, proprio perché gli americani vogliono sganciarsi e puntano a un accordo a due con i russi isolando i Paesi Europei, Gran Bretagna, Francia, Germania e Polonia (anche i baltici, ma loro non contano nulla) alzano l’asticella con la minaccia (che speriamo sia solo un bluff) di essere pronti a sostituirsi agli aiuti americani fino a consentire agli ucraini di vincere questa guerra. Ciò che non viene raccontato in Occidente è che l’opinione pubblica ucraina è stanca del conflitto e dello stesso Zelensky e da Mosca si spera che un qualche sommovimento popolare costringa il presidente guerrafondaio a dimettersi o cambiare totalmente linea. È a questo scopo che, incontri negoziali o no, per la prima volta missili e droni russi hanno cominciato a colpire anche le abitazioni civili in zone non strategiche.
Riassumendo, qualunque siano le dichiarazioni dei vari attori, la situazione a Gaza è praticamente disperata e, anche qualora il conflitto materiale dovesse finire o essere sospeso, è ad oggi ancora impossibile immaginare come sarà il futuro rapporto tra israeliani e palestinesi. In Ucraina, invece, una soluzione esiste ma passa soltanto attraverso l’accettazione delle condizioni poste da Mosca. Pensare diversamente è illusorio oppure nasconde la volontà di sacrificare altre migliaia di soldati e civili da entrambe le parti.
Il vero rischio, come all’inizio di tutte le guerre, è che la situazione sfugga di mano e che, tra bluff e contro-bluff, le ostilità si allarghino coinvolgendo direttamente chi finora ha mandato aiuti o espresso una facile solidarietà tenendosi (apparentemente) lontano dalla prima linea.
* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.