Guerra fredda. Ma la crisi siriana può aprire nuovi scenari

di Dario Rivolta * – 

cremlinoSe vi capitasse di parlare di Russia con amici americani, molto probabilmente li vedreste immediatamente inalberarsi e dissertare di come Putin figuri tra i peggiori dittatori immaginabili e di come la Russia sia pericolosa e desiderosa di ricostruire ciò che fu l’Unione Sovietica, magari occupando militarmente anche gli ex Paesi satelliti, a partire dalla Polonia.
Se invece incontrerete dei russi chiedendo loro cosa pensino della Nato o degli Stati Uniti, la musica non cambierebbe, semplicemente suonerà all’inverso. Vi diranno che la Nato sta aggredendo la Russia pezzo a pezzo, circondandola con missili strategici e truppe di terra nei Paesi confinanti. Aggiungeranno che l’obiettivo ultimo non è soltanto quello di far cadere Putin ma anche, approfittando del disordine che ne seguirebbe, di facilitare il disgregamento della Russia attuale in tanti staterelli. “A quale fine?” chiederete voi. “E’ ovvio! Per poter facilmente impadronirsi delle locali ricchezze del suolo e del sottosuolo senza dover negoziare con Mosca”.
Alle orecchie di un normale europeo contemporaneo entrambe le posizioni sembrerebbero inspiegabili e assurde, salvo dover constatare che, nei fatti, la tensione tra i due aumenta giorno per giorno e che l’Europa vi è trascinata in modo passivo e cieco.
Che Putin, pur democraticamente eletto, non rappresenti l’archetipo di un leader democratico-liberale è scontato, ma, per quanto autoritaria la si voglia considerare, arrivare a definire dittatura la sua presidenza sembra oggettivamente fuori luogo. Chiunque voglia rifletterci con obiettività si dovrebbe domandare come sarebbe possibile governare senza un forte potere centrale il più esteso Paese del mondo, dotato di scarse vie di comunicazione interne, senza confini naturali (salvo il Caucaso) e con una popolazione scarsa e mal distribuita (basterebbe ricordare come divenne la Russia negli ultimi anni della presidenza Eltsin).
Certamente se l’obiettivo di qualcuno fosse davvero quello di dissolvere la Federazione Russa in tanti pezzettini, indebolire il governo centrale potrebbe essere considerato lo strumento idoneo. Tuttavia, pensando a che fine farebbero le testate nucleari disperse sul suo territorio e della confusione e incertezza in cui verrebbero a trovarsi le forniture di gas e petrolio verso l’Europa, nessun europeo di buon senso potrebbe desiderarlo. Ciò che è accaduto in Libia, moltiplicato però per cento, ne costituisce un avvertimento. E chi garantirebbe che non si scatenino allora i violenti appetiti di tanti, con le immaginabili conseguenze?
Quanto a presunti desideri neo imperialisti, nemmeno i polacchi ci credono davvero. Si critichi pure Putin, se lo si vuole, ma nessuno può arrivare a immaginarlo tanto folle da lanciarsi in avventure così rischiose e incerte da mettere a rischio la sopravvivenza di tutto il suo Paese e perfino di se stesso. Ma anche se ci sbagliassimo e veramente quello fosse il disegno, come potrebbe finanziarlo proprio ora, quando la Russia è gravata da numerosi problemi interni causati soprattutto dal basso prezzo di gas e petrolio (che da soli rappresentano più del 50% del Pil)?
Eppure, ci ricordano gli amici americani, Mosca ha moltiplicato azioni e stanziamento di forze militari, seppur a fine dimostrativo, proprio verso i confini europei e, dopo aver assorbito la Crimea, continua a sostenere truppe ribelli nell’est dell’Ucraina contro l’unità di questo Paese.
Convincente! Se non fosse che questi atti si sono verificati, ciascuno di loro, soltanto dopo che da parte americana, sotto l’apparente copertura Nato, si era deciso di installare missili balistici in Polonia e in Romania, si erano finanziati, qui e là, vari “movimenti colorati” e provocato un colpo di stato in Ucraina con il fine ultimo di fare entrare quel Paese nella Nato. Si ricordi che quest’ultima ipotesi stava già diventando una realtà sotto la presidenza di Bush figlio e solo un’opposizione ferma (soprattutto della Germania) scongiurò l’evento. Per ciò che riguarda l’Ucraina, non va dimenticato che, oltre ai legami storici e culturali che da secoli legano Kiev a Mosca, il confine tra i due Paesi è di fatto impalpabile, perché costituito da una sterminata pianura senza alcuna barriera naturale. Com’è possibile pretendere che un’Ucraina nella Nato (magari attraverso un precedente ingresso nell’Unione Europea) non sia percepita dai russi come un atto ostile? E poi, quale altro potrebbe esserne il fine se non una minaccia contro Mosca?
Chi pensa nostalgicamente al confronto tra le due superpotenze durante la guerra fredda dovrebbe fare i conti con la realtà di oggi. Un tempo, sia dal punto di vista strategico sia militare, USA e URSS giocavano alla pari e un rischio esisteva davvero, ma oggi non è più così. I tre milioni di uomini in armi ai tempi dell’Unione Sovietica sono diventati oggi un milione, o forse meno. La coscrizione obbligatoria dura soltanto un anno (e non più tre) e le reclute, è noto anche agli strateghi americani, sono poco e malamente addestrate. Solamente centomila uomini compongono una vera unità d’élite e di certo sono insufficienti, non solo per fronteggiare una reazione Nato, ma anche per il semplice e molto fantasioso scopo di occupare la Polonia. Senza contare che la maggior parte di loro è dislocata ben lontana dai confini dell’Unione. Se il possesso di altrettante testate nucleari di quelle possedute dagli USA può spaventare, Putin è il primo a sapere che la maggior parte delle sue sono quasi obsolete, tanto è vero che nei nuovi investimenti per la difesa si parla proprio di modernizzarle.
Comunque, di là da opinioni dettate da istinti viscerali e irrazionali, è chiaro che né gli Usa né la Russia hanno alcuna voglia di arrivare a una guerra. Perché allora continuare nelle reciproche provocazioni che portano solo a una pericolosa escalation? Perché, invece, non vedere tutte le possibilità di collaborazione?
Oggi, forse, la crisi siriana potrebbe costituire il punto di partenza per un più positivo tipo di relazioni.
L’invio di armi e “istruttori” russi nel Paese medio-orientale, per quanto ufficialmente giudicato “preoccupante” da Washington, non è da interpretarsi come un segnale negativo. In quel Paese la Russia ha i suoi interessi da lungo tempo ed è naturale che faccia qualcosa per tutelarsi. Oltre a ciò è evidente che l’ISIS è un nemico comune e che rappresenti per tutti il pericolo maggiore. Netanyahu l’ha immediatamente capito e gli stessi americani hanno dato disponibilità a colloqui military-to-military. Ovviamente è tutto da negoziare e, attualmente, la cautela reciproca e la necessità di non suscitare reazioni negative tra gli altri membri della Coalizione spingono soltanto a dichiarazioni di principio.
E’ un peccato che, ancora una volta, l’Europa sia assente e si limiti ad appoggiare le iniziative del principale alleato senza guardare oltre o, almeno, ai propri interessi. Sono passati, ahimè anche a Berlino! i tempi dei Willy Brandt e Helmut Schmidt, quando, nonostante la Guerra fredda imperante, qualche europeo sapeva giocare un ruolo che non fosse soltanto da gregario.
Toccherebbe invece proprio a noi cittadini del Vecchio Continente, naturale campo di battaglia in una situazione che sfuggisse di mano a tutti i contendenti, portare un po’ di saggezza e ricordare che la Russia è un naturale alleato nella guerra contro il terrorismo internazionale e per il mantenimento di un mondo più ordinato. Per quanto riguarda l’Ucraina, l’errore fatto da politici incapaci fu proprio quello di assecondare il desiderio destabilizzante che veniva da oltreoceano imponendo all’allora presidente Yanucovich la drastica scelta tra Bruxelles e Mosca. Dopo quello che è successo e la guerra civile in atto non è facile rimettere le cose al punto di partenza, ma, se durante la guerra fredda ci si accordò che l’Austria e la Finlandia rimanessero totalmente neutrali ed esterne ai due blocchi, non si capisce perché non si debba immaginare la stessa cosa per l’Ucraina di oggi. Chissà se un possibile accordo in Siria non aiuti anche una soluzione su altri teatri.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.