Guerre vere e guerre minacciate: l’incoerenza degli Usa e i “seguaci” europei

di Dario Rivolta * –

La politica internazionale è un oceano in cui si confrontano e scontrano gli interessi di ciascun Paese. A volte sono complementari, a volte alternativi, spesso opposti. In conformità a quegli interessi gli Stati si avvicinano o si allontanano tra loro, creano alleanze, lanciano diffide più o meno minacciose, si fanno guerre.
Una costante nella storia umana è che quegli interessi, magari evidenti a osservatori esterni, raramente sono dichiarati. Nella maggior parte dei casi si accusa il “concorrente” di violare i “nostri” diritti, di minacciarci, di tenere comportamenti contrari alle regole del vivere comune. In tempi più recenti si ricorre all’accusa di “violare il diritto internazionale” o di “nutrire il terrorismo”, naturalmente a “nostro” danno o a quello dei Paesi “amici”. Accordi precedenti e perfino i “trattati”, se esistevano, si rispettano fino a che fanno comodo. Poi diventano semplicemente degli “chiffons des papier” (pezzi di carta), come ebbe a definirli un certo cancelliere tedesco prima dell’invasione del neutrale Belgio.
Nella gara delle accuse reciproche ognuno accusa l’altro (o gli altri) delle peggiori malefatte e per farlo con maggiori probabilità di successo s’inventano fatti mai accaduti o si riferiscono quelli veri, modificandoli però a piacimento.
Per renderli credibili si ricorre alla ripetizione della notizia grazie alla collaborazione dei vari media amici. Si creano così le famose “fake news”, fenomeno molto citato ai nostri giorni pur essendo un metodo antico e utilizzato da sempre. Il fatto è che le guerre, quelle fatte ma anche solo quelle minacciate, non si vincono solo sui campi di battaglia ma hanno bisogno di partecipazione convinta, sia da parte dei soldati che della propria opinione pubblica. Poiché spiegare ai cittadini le vere motivazioni per cui si contende con altri Stati non è sempre sufficiente per ottenere il consenso e convincere tutti (soprattutto quelli che rischieranno la propria vita combattendo), il nemico deve essere sempre descritto come “malvagio”, “irrazionale”, “traditore”, “infingardo”, “antidemocratico”, “terrorista”. Naturalmente si devono anche emarginare o, dove possibile, far tacere tutte le narrative differenti.
Se una guerra è già scoppiata, giusta o sbagliata che sia, ogni cittadino dotato di spirito patriottico non deve permettersi di contestare la versione ufficiale del proprio governo. Quando, però, esiste ancora qualche spazio di dialogo e si ritiene che il proprio Paese stia assumendo posizioni contrarie agli interessi della collettività cui si appartiene, allora è un bene che politici e intellettuali manifestino il proprio pensiero. Se è necessario, perfino per gridare che “il re è nudo”.
Esempi di queste narrazioni che falsano la realtà ce ne sono tante, anche in tempi recenti e qualcuno lo possiamo vedere in come la nostra stampa occidentale (e la maggior parte dei politici) ha parlato dell’incidente ucraino-russo nel mar d’Azov (vedi Dario Rivolta, “Russia-Ucraina. Perché noi europei dovremmo mettere il naso nel conflitto?”).
Un altro esempio di grande attualità è la descrizione dell’atteggiamento che gli americani attribuiscono all’Iran. Trump ha disdetto l’accordo Jcpoa, sottoscritto con l’Iran anche da Europa, Russia, Cina, Francia, Germania e Gran Bretagna, pretendendo (per ora senza riuscirci) che anche gli altri firmatari facessero altrettanto. Le motivazioni addotte sono state che l’Iran “non lo rispetta”, “fomenta il terrorismo”, ed “è aggressivo con i Paesi vicini”. I motivi veri però sono altri e tutti lo sanno.
Che l’Iran, in competizione con l’Arabia Saudita, punti a conquistare una propria egemonia in Medio Oriente è vero. Così com’è altrettanto vero che lo stesso obiettivo appartiene alla Turchia seppur quest’ultima, focalizzandosi oggi contro Riad, abbia temporaneamente accantonato la sua rivalità con Tehran.
Corrisponde alla verità anche il fatto che gli ayatollah finanzino e armino Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza, entrambi considerati “terroristi”. Inoltre nessuno può negare un fiancheggiamento con gli Houti in Yemen.
Tuttavia non va dimenticato che il trattato Jcpoa sul nucleare iraniano non prende in considerazione nessuno di questi fatti e si limita a considerare l’impegno iraniano a non procedere con lo sviluppo del nucleare. A questo proposito occorre affermare che gli iraniani stanno compiutamente rispettando i patti, così come certificato più volte dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea). L’accusa trumpiana su questo punto è quindi evidentemente falsa.
Per quanto riguarda il terrorismo o la correttezza dei comportamenti, basta andare un poco indietro nella storia e scopriremmo delle sorprese:
– Nel 1980 il presidente Bush padre chiese l’aiuto iraniano per la liberazione degli ostaggi occidentali in Libano. Promise in cambio “goodwill for goodwill“. Tuttavia, una volta ottenuta la liberazione, gli Stati Uniti aumentarono le pressioni contro l’Iran.
– La guerra aggressiva di Saddam Hussein contro la Repubblica Islamica scoppiata nel 1979 fu appoggiata da Washington e Riad.
– Nel 2001 Washington chiese aiuto a Teheran per la “guerra contro il terrore” in Afghanistan e lo ottenne in due modi: informazioni d’intelligence date dalle Guardie Rivoluzionarie che mostrarono, prima dell’inizio dell’ostilità, quali fossero le dislocazioni dei talebani nel territorio e in seguito supporto politico ad Hamid Karzai, presidente scelto dagli americani. Gli Usa risposero includendo l’Iran nel “Asse del Male”.
– Sempre nel 2001 l’attentato alle Torri Gemelle fu appurato essere stato condotto soprattutto da terroristi sauditi, alcuni dei quali considerati vicini alla famiglia reale. Nessun iraniano fu mai visto partecipare ad atti di quel genere. Ciò nonostante mai gli Usa accusarono Riad di avere fomentato o alimentato i terroristi.
– Osama Bin Laden era notoriamente un naturalizzato saudita e apparteneva a una famiglia molto influente per l’economia di quel Paese. Le sue azioni di guerriglia contro i sovietici in Afghanistan (terrorismo?) furono notoriamente istruite e finanziate dagli americani.
– Tutte le guerre attualmente in corso in Yemen, Siria e Libia hanno visto il supporto del denaro e delle madrasse saudite e dei suoi alleati. Nei primi due casi l’intervento (non ufficiale) dell’Iran fu soltanto conseguente. In Libia i fomentatori dei disordini sono, tra gli altri, gli Emirati, i sauditi, i turchi, i qatarini e gli egiziani, tutti alleati di Washington. Non si hanno notizie di alcun coinvolgimento iraniano.
– Dopo il 2003 e la caduta di Saddam Hussein in Iraq, ogni importante decisione del governo di Baghdad fu sempre concordata informalmente tra Washington e Tehran. Le nomine dei primi ministri al-Maliki e al-Abadi furono anch’esse il frutto di un accordo tra le due capitali che li imposero ai rispettivi “clientes”.
– L’assassinio del giornalista moderato Jamal Kashoggi, avvenuto nel consolato saudita di Istanbul è stato ordinato, o almeno permesso, dai massimi vertici sauditi. Trump non solo non ha alluso a nessuna”sanzione punitiva” verso i mandanti ma, adducendo importanti interessi economici americani, ha perfino minacciato il proprio veto a ogni eventuale decisione in quel senso da parte del Congresso.
Come si può vedere da questo e da altri avvenimenti che vanno nella stessa direzione, le motivazioni addotte per chiedere anche all’Europa di rispettare le sanzioni americane contro Teheran non sono per nulla convincenti e al limite suggerirebbero di dirottare le proprie ostilità verso l’Arabia Saudita piuttosto che contro Teheran.
Nelle premesse ricordavamo che ogni Paese persegue i propri obiettivi, e a questo punto dovremmo domandarci quali sono i nostri e quali gli altrui. E’ indubbio che la nostra alleanza con gli Stati Uniti rivesta per noi europei una massima importanza ma lo è altrettanto il fatto che, qualche volta, i loro interessi non coincidono con i nostri. Gli interessi di uno Stato sono sempre complessi, variegati, spesso perfino contradditori all’interno dello stesso Paese. E’ per questo che è bene che anche i giornalisti mostrino tutti i punti di vista possibili affinché ciascun cittadino possa meglio comprendere i fattori in campo e scegliere, a ragion veduta, da che parte stare. Il “pensiero unico” può essere necessario quando un conflitto è già scoppiato, ma diventa negativo per una democrazia e per il bene di una società quando si è ancora in tempo per impedire eventi che potrebbero diventare molto pericolosi o addirittura nocivi per i nostri interessi. Forse anche i politici europei dovrebbero cominciare a porsi la domanda se nei nostri rapporti con l’alleato americano vogliamo essere dei “partner” o semplicemente dei loro “seguaci”.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.