Haftar si proclama dittatore della Libia

di Mohamed Ben Abdallah –

“Ho accettato il mandato del popolo libico per occuparmi del Paese”. Con queste parole pronunciate in un discorso televisivo su al-Hadath il 76enne Khalifa Haftar ha annunciato lo scioglimento della Camera dei rappresentanti, cioè il Parlamento “di Tobruk” frutto delle elezioni di giugno 2014, e si è autopromosso a capo del paese. Il generale Haftar aveva di fatto annichilito da tempo il ruolo della Camera dei rappresentanti, parlamento riconosciuto dagli accordi di pace insieme al governo di accordo nazionale “di Tripoli”, ma la mossa di oggi sembra riflettere più un tentativo estremo e disperato di capovolgere la sorte che la reale volontà di divenire un nuovo Gheddafi.
Difatti l’offensiva di Haftar su Tripoli, partita il 4 aprile dello scorso anno e che a suo dire si sarebbe dovuta concludere entro un mese, si è arenata alle porte della capitale libica, e le sue forze sono ora sconfitte nei punti strategici dell’ovest del paese.
Per Haftar era essenziale raggiungere la capitale entro poco non solo per prendere il completo controllo del paese, bensì per mettere le mani sulla Banca centrale libica e ripagare i suoi alleati e finanziatori a cominciare dagli Emirati Arabi Uniti, che gli hanno sempre mandato soldi e armi, per arrivare ai miliziani di diverse sigle jihadiste al soldo dei sauditi, dai mercenari russi della Wagner agli “osservatori” francesi, dagli 007 americani alle migliaia di mercanti sudanesi e ciadiani e al supporto militare egiziano.
Haftar conterebbe quindi di passare come l’uomo forte, l’incarnazione del “si stava meglio quando si stava peggio” e quindi di colui che è capace di risolvere la crisi libica dopo 9 anni di guerra.
Eppure se c’è la guerra in Libia è proprio perché lui l’ha voluta. Difatti alle operazioni contro l’Isis, ormai cancellato da tempo, è seguita la volontà di impadronirsi del paese facendosi beffa delle richieste della comunità internazionale di interloquire e di giungere alla pace, come pure minacciando apertamente l’Italia di invaderla di migranti nel caso non avesse inviato armi a suo sostegno.
Il vero problema di Haftar potrebbero essere tuttavia gli Stati Uniti, che gli avrebbero girato le spalle non approvando la sua iniziativa di erigersi a raìs. Si è appreso infatti che gli Usa avrebbero respinto attraverso la propria rappresentanza diplomatica in Libia la sua dichiarazione unilaterale, invitandolo a trattare con il governo “di Tripoli” e giungere ad un cessate-il-fuoco per la durata del Ramadan.
Proprio gli Usa sono infatti il vero elemento di forza di Haftar: durante la guerra contro il Ciad del 1987, la cosiddetta “Guerra delle Toyota”, Haftar fu fatto prigioniero salvo poi essere prelevato dalla Cia e portato negli Usa fino al 2011, quando comparve per guidare la piazza di Bengasi contro Gheddafi. Con passaporto statunitense in tasca, negli Usa abitava a Langley, ad un chilometro dalla sede della Cia, ha passaporto statunitense e persino per la sua offensiva del 4 aprile di un anno fa Haftar aveva ricevuto il via libera da Washington, con un Donald Trump che, secondo Bloomberg, aveva dato il suo ok via telefono. L’idea di Trump era quella di chiudere una volta per tutte il capitolo Libia buttando a mare il governo riconosciuto dalla comunità internazionale e sostenuto in primis dall’Italia.
Tuttavia a Tripoli le cose per Haftar non sono andate come lui avrebbe voluto, anche grazie all’intervento del presidente turco Recep Tayyp Erdogan a favore di Fayez al-Serraj e del governo riconosciuto dalla comunità internazionale: ha così deciso di giocarsi il tutto per tutto, e di “accettare” la richiesta del popolo libico (che lui si è ovviamente inventata) proclamandosi dittatore della Libia.

Khalifa Haftar con miliziani madahkilisti.