Hong Kong. E l’Italia?

Proteste contro la legge che permetterebbe di giudicare i colpevoli nella Cina continentale. Ma anche in Italia gli statunitensi glissano la nostra Giustizia.

di Dario Rivolta * –

Quando nel 1997 Hong Kong ritornò sotto la sovranità cinese, una delle condizioni fu che l’isola avrebbe mantenuto una forte autonomia normativa e giuridica rispetto alla madrepatria e così sarebbe dovuta rimanere fino al 2047. Si chiamò: “Una Cina, due sistemi”. Oramai da tempo, molti cittadini di quella città protestano per le strade ogni fine settimana e recentemente hanno anche occupato l’aeroporto, costringendo le autorità dello stesso a cancellare per un giorno tutti i voli in partenza e in arrivo. La ragione delle proteste è stata una nuova legge che, una volta entrata in vigore, avrebbe fatto sì che per qualunque reato, anche se avvenuto sul territorio dell’isola, il processo si sarebbe tenuto nella Cina continentale e non nella stessa Hong Kong. Fu immediatamente evidente a tutti che quella procedura avrebbe inficiato lo stesso accordo dell’“Un Paese, due sistemi”, sottoponendo i locali cittadini a una legge e un giudizio che valevano per il resto del Paese ma che, si era inteso, non fossero applicati localmente in base all’autonomia e alla “diversità” riconosciute. Attualmente la città di Hong Kong gode dello status di regione amministrativa speciale, mantiene un suo sistema economico e sul suo territorio il diritto praticato è quello della cosiddetta Hong Kong Basic Law.
Non sappiamo ancora come finirà (la nuova legge è stata “sospesa” ma non annullata) ma, in nome del rispetto del diritto, degli accordi sottoscritti e, più in generale, della democrazia e della libertà tutto il resto del mondo, Stati Uniti in primis, parteggia per i manifestanti.
E’ cosa normale che i processi contro chi abbia infranto la legge si tengano sul luogo ove il reato sia stato commesso e in tutti gli Stati democratici, salvo condizioni particolari d’incompatibilità, è ciò che regolarmente avviene.
Ho scritto “in tutti gli Stati” ma, forse, l’ho fatto troppo in fretta perché proprio il baluardo della democrazia nel mondo, gli USA, rispettano questo principio soltanto quando non vi sia coinvolto un loro concittadino, specialmente se militare. Ricordate il Cermis del 1998? Due piloti americani in vena di bravate e violando i regolamenti urtarono con il loro aereo il cavo di una funivia in Trentino causandone la rottura e la caduta della cabina. Ne morirono decine di turisti, italiani ed europei. Ebbene, non ci fu nessun processo in Italia: i piloti e l’equipaggio furono rimpatriati e sottoposti a un processo farsa nel loro Paese. Non risulta che abbiano passato nemmeno una settimana in prigione e uno di loro ha perfino fatto carriera nell’aviazione a stelle e strisce. Diverso il caso di Amanda Knox. Lei fu sì sottoposta a processo in Italia e fu anche condannata dopo ben quattro gradi di giudizio. Salvo poi essere stranamente assolta in un insolito quinto grado. Fu una pura decisione della Giustizia indipendente o intervennero altri fattori, magari diplomatici, a convincere i nostri magistrati che il processo andasse rivisto? Personalmente non so rispondere ma, poiché i dubbi sono sorti, non vorrei che tra poco ci trovassimo di fronte a un altro fatto simile.
Alludo all’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega perpetrato, di là da ogni ragionevole dubbio, da una coppia di giovani americani benestanti e viziati venuti come turisti in Italia e amanti dell’alcol e degli stupefacenti. Tutti oramai conosciamo i fatti: un nostro milite, in servizio ma stranamente disarmato, era stato chiamato a intervenire in una storia di piccolo malaffare e fu colpito mortalmente da uno dei due giovani una decina di pugnalate alla schiena e sui fianchi. Sappiamo tutti che se un caso del genere fosse successo in alcuni degli Stati americani, molto probabilmente nessuno dei due assalitori sarebbe arrivato vivo nella cella o, se mai vi fosse stato condotto, avrebbe potuto ricevervi un adeguato pestaggio da parte dei colleghi della vittima. Da noi le cose non funzionano così. Rintracciati, i due sono stati regolarmente arrestati e sottoposti a interrogatorio per accertare le responsabilità. Purtroppo qualche deficiente ha deciso che uno dei due (non il presunto assassino) fosse anche bendato e, chi lo ha fatto o un suo collega mascalzone, lo ha fotografato e diffuso quella fotografia. Immediatamente il fatto della benda è diventato “il” caso, quasi sopravanzando perfino l’avvenuto omicidio. Un solerte deputato del PD, tale Ivan Scalfarotto, non si è sentito di esprimere nemmeno le dovute condoglianze alla moglie del carabiniere ucciso ma si è precipitato in carcere “per verificare le condizioni degli accusati”. No comment!
Tuttavia, lungi dall’essere un aneddoto senza conseguenze, quella bendatura potrebbe perfino consentire che il processo non si tenga mai. Un famoso penalista statunitense pure docente di diritto a Harvard, Alan Dershovitz, intervistato da La Stampa ha detto che “L’Italia… è membro di istituzioni continentali come la Corte europea dei Diritti dell’Uomo, che ha proprio lo scopo di garantire i diritti e le libertà fondamentali dei cittadini. Gli avvocati italiani dei due arrestati potrebbero subito rivolgersi a queste sedi (allude anche alla Corte di Giustizia, ndr), usando la foto come la prova di un trattamento che viola la legge per bloccare o annullare il processo”. Ha continuato: “La violazione della legge è chiara. Mette in discussione l’intero comportamento delle autorità italiane, qualunque siano le responsabilità dei due arrestati e le Corti europee hanno il dovere di far rispettare i diritti degli imputati”. Già nel caso della Knox, di là dall’assoluzione stabilita dai nostri tribunali, la Corte europea aveva sentenziato il 24 gennaio 2019 che vi era stata una violazione dei diritti di difesa dell’imputata anche se non erano state trovate prove di maltrattamenti fisici. Conseguenza: l’Italia fu condannata a risarcire Amanda Knox con la somma di 18.400 euro, calcolati tra danni morali e rimborso delle spese legali per il ricorso a Strasburgo.
In subordine al ricorso presso la Corte europea, gli Stati Uniti potrebbero presentare una protesta formale e chiedere che il ragazzo incriminato, per sua garanzia, sia estradato in America e che là si tenga il processo. Quest’ultima ipotesi, visti i precedenti e le attuali circostanze non sembra affatto peregrina, anche grazie all’impatto mediatico che la foto ha avuto in America e alle conseguenti pressioni di quell’opinione pubblica. Intanto, la benestante famiglia del maggiore imputato ha cominciato col dire che il ragazzo ha solo voluto difendersi per la paura di essere ucciso. Come e perché un carabiniere disarmato lo avrebbe potuto o dovuto fare e come mai il giovine non si sia difeso fuggendo o dando una sola coltellata, anzi infierendo con ben undici colpi, sembra cosa poco importante.
Ciò che resta importante è la foto, tanto è vero che c’è chi comincia a sostenere che non sia stata scattata e diffusa per caso, ma proprio per ottenere il battage che ne è nato e per creare così le condizioni di un annullamento o di un’estradizione. Sembra fantascienza, ma se ricordiamo che il governo americano non tollera che i propri cittadini siano sottoposti a giudizio in altri Paesi e che le loro pressioni diplomatiche hanno tanti modi per manifestarsi, anche questa possibilità non può essere esclusa a priori. Comunque sia, sul caso della fotografia e della sua diffusione la magistratura ha aperto un’altra inchiesta e ci auguriamo che essa vada fino in fondo e diradi ogni peggior dubbio.
Ciò che speriamo non accada è che anche gli italiani si vengano a trovare nella stessa situazione dei poveri cittadini di Hong Kong, costretti a battersi perché sia la propria magistratura a poter giudicare gli autori di crimini locali. Loro, gli hongkonghesi, sono “Una Cina, due sistemi”. Noi, almeno lo speriamo, siamo due Stati differenti e sovrani. O no?

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.