I migranti gay e l’impegno dell’Iam. Intervista a Jonathan Mastellari

a cura di Enrico Oliari

Jonathan Mastellari dirige un’assoziazione, la Iam – Intersectionalities And More, che si occupa di temi intersezionali e tra le cui attuvita assiste migranti e richiedenti protezione internazionalr lgbi in fuga da paesi dove sono perseguitati per il loro orientamento affettivo e di genere.
Persone omosessuali, bisessuali e trans sono spesso costrette a lasciare la loro terra, le loro abitudini e il loro contesto sociale per cercare rifugio dove vivere il loro orientamento affettivo-sessuale in modo sereno: l’Ilga, International Lesbian and Gay Association, ci ricorda che sono ancora una settantina i paesi che hanno nel codice penale leggi e pene contro gli omosessuali che variano dai pochi mesi di reclusione alla pena capitale, come avviene in Iran, Arabia Saudita, Somalia, Nigeria, Yemen, Sudan. Mauritania, Emirati Arabi, Qatar, Afghanistan e Pakistan la prevedono ma da tempo non la applicano, mentre in aprile il 72enne sultano del Brunei, Hassanal Bolkiah, ha enfaticamente reintrodotto la lapidazione per gay e adulteri. https://www.notiziegeopolitiche.net/brunei-il-sultano-introduce-la-sharia-pena-di-morte-per-i-gay-e-gli-adulteri/.

– Jonathan Mastellari, sembra che in certe parti del mondo il tempo sia fermo al medioevo più buio: vi sono notizie di gay e transessuali perseguitati a causa del loro orientamento?
“Le notizie provengono da tutto il mondo. L’omofobia e la transfobia esistono ovunque, anche nel nord Europa. Ci lamentiamo dell’Italia, ma non ci rendiamo mai conto che alla fine siamo abbastanza fortunati/e e aperti/e sui temi Lgbti.
Non mi piace definire altre culture Medioevo perchè ognuno ha una propria storia e società alla quale fa riferimento. Diciamo che anche su questi temi il mondo va a due o più velocità.
È importante sapere che al momento in Italia si può fare richiesta di protezione internazionale per motivi legati all’orientamento sessuale e/o identità di genere anche se si proviene da paesi dove non ci sono leggi omofobe e transofobe.
L’analisi della domamda si basa sull’esperienza personale e la tutela sui rischi che corre lo specifico indivuduo”
.

– Non ritiene che il nostro metro occidentale non ci porti a considerare gli aspetti tradizionali e culturali di quei paesi?
“Sì, è uno dei più grandi problemi per chi lavora su questi temi, per chi lavora negli sportelli come i nostri e per chi lavora nelle commissioni territoriali.
Anche il dover usare la sigla LGBTI è una forzatura culturale che mettiamo in atto per parlare di chi migra per motivi di orientamento sessuale e/o orientamento di genere. Il più delle volte queste persone per definire se stesse non usano il termine gay, lesbica, trans, bisex. Spesso usano termini usati nel loro contesto locale, spesso definiscono il comportamento e non l’identità.
Il più delle volte il termine Lgbti è usato da chi proviene da classi medio – alte che ha avuto contatti prungsti con media o sistemi di educazione occidentale.
È molto difficile per noi (e innaturale) usare schemi culturali diversi che non ci appartengono, che variano da nazione a nazione e che non semplifica la comprensione.
Di certo non bisogna essere etnocentrici e culturacentrinci. Dobbiamo ricordarci che non dobbiamo forzare noi la definizione dell’identità di una persona. Bisogna chiedere e ascoltare e non vendere copioni”
.

– A voi si rivolgono migranti omo, bi, trans, intersex, asessuali e queer: che tipo di aiuto offrite loro?
“Dipende dai casi. Se una persona vive in un centro di accoglienza collaboriamo con gli operatori sociali e/o legali per la preparazione alla Commissione Territoriale. Per chi non è in accoglienza ci occupiamo di tutta la parte burocratica, dall’inizio della procedura (già prendere un primo appuntamento presso le questure nonbè spesso facile) fino al post commissione (titolo di viaggio, riconoscimento titoli di studio, orientamento allo studio e al lavoro).
In generale comunque prepariamo le persone all’appuntamento con la commissione che accerterà se effettivamente c’e un rischio nel paese di origine e quale tipo di protezione concedere. Dall’inizio della procedura all’intervista con la commissione in Italia attualmente sono necessari più o meno tra gli 8 e i 12 mesi. In questo periodo incontriamo periodicamente i richiedenti per preparare la persona e capire i suoi bisogni.
Creiamo anche gruppi di socializzazione basati sulla lingua dei richiedenti (dal vivo e on line) incentivando così la socializzazione tra persone che stanno vivendo o hanno vissuto uno stesso percorso di vita, creando così una rete attiva su tutto il territorio nazionale”
.

– Ha un caso da riportare a titolo esemplificativo?
“Dal 2012 ad oggi abbiamo seguito più o meno 320 persone. I casi sono veramente tanti. Quello che mi rimane in testa sempre è la storia di un ragazzo del Canerun che durante la traversata dalla Libia ha perso il fidanzato perchè morto nel Mediterraneo.
All’arrivo il ragazzo interagiva pochissimo, oggi dopo 3 anni è diventato Oss e parla un italiano quasi perfetto.
Per noi è un gtande orgoglio”
.

– Ritiene che gli organismi sovranazionali come l’Onu stiano agendo per fermare la persecuzione delle persone lgbt?
“L’Onu ha una specifica figura esperta che si occupa dei progressi e della situazione lgbti nei vari paesi. L’Onu ovviamente supporta la comunità omo, bi, transessuale e omosessuale, ma non ha il potere di cambiare la situazione in ogni singola nazione. La sensibilizzazione è fondamentale, ma da sole le Nazioni Unite non possono cambiare niente”.

– Come si muove il movimento gay italiano sul caso dei migranti gay?
“Generalmente si muove male. Troppe persone si inventano esperte. Molti attivisti si sentono in dovere di parlare di migranti lgbti perchè si sentono meno in colpa con se stessi nell’essere nati/e nella parte “sicura” del mondo. Di questi temi ora si parla molto ma sono tante ancora le realtà che emettono tessere per “dimostrare” che il/la richiedente è lgbti. Queste tessere fortunatamente non servono a niente poichè oltre a far perdere di valore politico le tessere associative, illudono i migranti.
Per persone che provengono da paesi fortemente omofobi e transofobi il rapporto con gli attuvisti occidentali è fondamentale e spesso tutto quello che viene detto è l’unica speranza alla quale appoggiarsi. Per questo le tessere sono pericolose.
Un altro problema delle associazioni lgbti italiane è la sovraesposizione mediatica dei e delle migranti lgbti. Spesso si spiattellano persone sui social per promuovere i servizi di sportello senza sincerarsi che la persona sia a conoscenza dei rischi di questa azione, diventando cosi visibile non solo agli attivsti lgbti, ma potenzialmente anche alla comunità nazionale di origine, spesso omofoba e transofoba.
Poi esistono anche realtà buone da prendere come esempio e che sono realmente formate e motivate che il più delle volte sono in conflitto con quelle a cui mi riferivo sopra”
.

– Il quadro normativo della Legge sulle unioni civili tutela il partner straniero?
“Sì, un partner straniero è equiparato ad un partner con nazionalità italiana. Il o la cittadina straniera per potersi unire civilmente devono avere un nulla osta del paese di origine che dimostra di non essere già impegnati/e in un lrecedente matrimonio o unione. Anche per i rifugiati e le rifugiate è possibile accedere all’unione civile. Non potendosi però rivolgere a istituzioni del paese di origine, il/la migrante rifugiata si devono rivolgere all’ufficio Unhcr di Roma, per poi recarsi anche da un notaio”.