Il Consiglio europeo pronto ad altre sanzioni alla Russia. Ma a rimetterci sono gli europei (e gli ucraini)

di Guido Keller

Il premier ungherese Viktor Orban si è visto a Parigi con Marine Le Pen, presidente del Rassemblement National, con la quale ha affrontato le conseguenze della politica sanzionatoria e di chiusura dell’Ue nei confronti della Russia a seguito della crisi ucraina. Non è da oggi che Orban va paventando “l’aumento dei prezzi e del costo della vita a causa delle sanzioni introdotte in modo sbagliato da Bruxelles”, ed è un dato di fatto che se lo scopo di tali misure è quello di costringere la Russia a interrompere la sua aggressione, altresì è vero che a pagare sono innanzitutto le aziende che hanno investimenti e rapporti commerciali con quel paese, quindi i cittadini alla pompa di benzina e per il caro energia, anche senza abbassare il condizionatore di qualche grado, come vorrebbe il premier italiano Mario Draghi.
Dopo il quinto pacchetto di sanzioni l’Unione Europea punta a scollegarsi gradualmente dalle forniture energetiche russe, anche se acquistare il gas da altri fornitori come gli Stati Uniti avrà dei costi assolutamente maggiori sia in termini economici che ambientali, con ricadute su imprese e famiglie: l’Ue ha già fatto sapere che acquisterà 53 miliardi di mentri cubi di gas dagli Usa da qui al 2030, gas che lì viene estratto con la tecnica del “fracking” (pribita in Europa per motivi ambientali) e trasportato con navi in forma liquida impiegando un enorme numero di mezzi (una nave metaniera trasporta 266mila mq di gas liquido, che diventano 160 milioni di mq di prodotto in stato gassoso).
Se la Russia potrà soffrire nel breve termine la mancata vendita di gas all’Ue, di certo non lo farà per molto, dal momento che India, Cina e Pakistan, paesi che messi insieme fanno 3 miliardi di persone, hanno già manifestato interesse per il gas russo, e non è un caso se all’Assemblea generale delle Nazioni Unite tali paesi si sono astenuti dal condannare l’aggressione militare dell’Ucraina.
Intanto però da Mosca continua ad arrivare il gas russo. Il Guardian oggi ha pubblicato che continua ad essere regolare l’afflusso di energia dalla Russia all’Europa, con la Gazprom che ha specificato che dallo snodo di Sudzha, al confine con l’Ucraina, ieri sono passati 44,1 milioni di metri cubi di gas, più del giorno prima (43,9 milioni).
Sempre la Gazprom ha riportato nel suo bollettino che il flusso è inferiore a quello dell’inizio di maggio (95,8 milioni di metri cubi), ma poi gli ucraini hanno chiuso lo snodo di Kiev e respinto la richiesta del gigante russo di ricorrere allo snodo di Sokhranovka.
Con tutta probabilità il Cremlino punterà a mettere la questione della vendita del gas all’Ue nelle trattative per la de-escalation, ma già domani il Consiglio europeo metterà sul tavolo il sesto pacchetto di sanzioni, che comunque non dovrebbe interessare le forniture di petrolio ai paesi dell’Europa orientale, in particolare l’Ungheria di Orban ma anche la Germania e la Polonia.
La guerra ucraina continua quindi a generare nella politica europea distinguo e incongruenze, con gli Usa che premono per una linea di rottura con Mosca che però non conviene ne’ agli europei ne’ al dialogo, necessario per porre fine all’aggressione russa.
Un’Europa ancora una volta disunita e schiacciata dal peso delle altre potenze, con sanzioni che rischiano di colpire prima di tutto le fasce più deboli degli europei.
A muoversi ancora una volta è il presidente turco Recep Tayyp Erdogan, il quale avrebbe tutto da guadagnare nel momento in cui riuscisse a convincere le parti a fermare le ostilità, a cominciare dall’agognata entrata della Turchia nell’Ue. Domani si sentirà con Vladimir Putin e il presidente russo Volodymyr Zelensky per tentare di riavviare il dialogo, e al Cremlino non dispiace il suo “no” all’entrata di Finlandia e Svezia nella Nato.
Messa da parte l’adesione all’Alleanza Atlantica da parte dell’Ucraina, sul tavolo continuano a restare la questione della Crimea, annessa dalla Russia nel 2014, la tutela della lingua russa e delle minoranze russofone nel Donbass e la questione della “denazificazione”, questa in realtà riferita al Battaglione Azov in buona parte messo fuori gioco con la capitolazione dell’acciaieria Azovstal di Mariupol. Nel 2015 anche Kiev aveva sottoscritto gli accordi di Minsk-2 che prevedevano la costituzione delle autonomie di Lugansk e di Donetsk, ma le cose sono andate diversamente, con una guerra continua, la chiusura dei giornali e dei media in lingua russa, il divieto di insegnare russo e di parlare russo nei pubblici uffici.
La pace deve passare dal compromesso e dal dialogo: un nuovo pacchetto di sanzioni servirà solo ad irrigidire le parti e a prolungare la guerra.