di Yari Lepre Marrani –
L’universo culturale tedesco del XIX secolo ha prodotto studiosi eccelsi, alcuni dei quali sono finanche riusciti a contemperare le proprie personali posizioni religiose con i particolari temi da loro affrontati in opere storiografiche apparentemente lontane dal significato intimo di quelle posizioni religiose stesse. Ed è stata proprio la storiografia a produrre in seno alla Prussia lo sviluppo intellettuale e le opere di alcuni tra i maggiori storici dell’età contemporanea. Leopold von Ranke (1795 – 1886) è stato uno di loro: storiografo ufficiale della Prussia del XIX secolo, di formazione idealistica, hegeliana ma credente nell’obiettività storica, come il suo collega altrettanto tedesco Gustav Droysen.
La versatilità intellettuale e spirituale di von Ranke si è singolarmente manifestata con la scelta di scrivere determinate opere, apparentemente in contrasto simbolico e sostanziale con le proprie inclinazioni religiose, il proprio culto e materializzazione della propria fede cristiana. Leopold von Ranke era di origini e di formazione protestante. Un cristiano riformato convinto e credente nel cristianesimo evangelico. Le sue credenze religiose, come per tutti gli spiriti intellettuali eletti e d’elevata intelligenza, svincolati da bassi pregiudizi o timori, non furono un ostacolo alla ricerca storica proprio nell’ambito della storia papale, per cui von Ranke scrisse un’opera, “La Storia dei papi romani nei sec. XVI e XVII”, cui l’autore vi giunse, egli luterano convinto, per un interesse storico-politico, nel quadro di una vasta storia dei prìncipi e dei popoli dell’Europa meridionale nei secoli XVI e XVII, ricerca storica da lui incominciata fin dal 1827.
Essendo un autore d’origine e formazione protestante, luterano rimasto tale per tutta la vita, il von Ranke avrebbe potuto non avere un immediato interesse religioso per una storia dei Papi, che egli doveva considerare qualcosa di profondamente estraneo alla concezione luterana del cristianesimo evangelico. Ma la ricerca storica, congiunta ad una mente ossequiosa al protestantesimo ma assolutamente libera da stupidi preconcetti o pregiudizi, ebbe nello storico prussiano la precedenza verso qualsiasi titubanza di natura morale, legata al proprio culto, alla propria fede confessionale.
Un grande storico protestante che decide di affrontare in maniera squisitamente obiettiva la storia personale, temporale e liturgica dei Papi della Chiesa di Roma poteva apparire al suo pubblico un fatto insolito se non assai poco ortodosso, quasi una sfida “sacrilega” tra le proprie origini religiose e il proprio lavoro di ricerca, in un tempo in cui ancora l’atteggiamento che propugna la completa indipendenza e autonomia della mente nei confronti di qualsiasi confessione religiosa gerarchicamente organizzata, non era la regola. Al suo pubblico protestante von Ranke giustificò così la sua opera papale: “I fatti ecclesiastici e puramente dogmatici non hanno né devono avere più interesse per noi. Esistono invece altri elementi più particolarmente storici. Non può trattarsi della loro influenza su di noi, perché essa non si fa sentire più sui nostri destini spirituali. Non abbiamo che da occuparci del potere temporale del Papato e del suo sviluppo”. In queste breve righe il von Ranke usò il pluralis maiestatis a sottolineare la propria importanza, prestigio e ruolo intellettuale.
Uno storico protestante che decise di affrontare la storia temporale dei Papi attraverso la lente dell’obiettività storica più ferrea: questo è il lascito maggiore del grande storico prussiano. Ed è grazie alla sua audacia di ricercatore libero su un tema di così vaste proporzioni quale il tema del Papato che von Ranke non fu più di fronte alla storia ecclesiastica tout court, ma alla storia politica e spirituale: di idee e sentimenti diffusi, non solo né soprattutto dell’organizzazione papale in quanto tale.
Leopold von Ranke si può dire inizi la valorizzazione delle fonti venete per la storia dei secoli XVI e XVII, cioè delle relazioni degli ambasciatori veneti alla Signoria, in cui vengono descritti uomini, cose, progetti, passioni delle Corti presso cui erano accreditati. E, assieme a queste, valorizza parallelamente e alla grande quelle analoghe romane, i documenti di Stato trattenuti come proprietà privata dai membri delle grandi famiglie papali, ovvero i Corsini, gli Albani, i Chigi, i Barberini, ecc, nonché le corrispondenze diplomatiche papali ovunque rintracciabili. E fu grazie a questo metodo di ricerca, fu in questa prospettiva e in base a siffatti documenti che l’attività del Papato gli si presentò, quasi con sua sorpresa, ovvero la sorpresa del luterano anti-cattolico, come imponente, suggestiva, infinitamente ricca. “Nei secoli XVI e XVII il Papato è scosso e messo in pericolo; tuttavia si mantiene e si consolida, conquista di nuovo la sua autonomia e arriva persino ad espandersi: infine s’arresta e sembra decadere. In questi due grandi secoli in cui lo spirito delle Nazioni occidentali si volge di preferenza alle questioni religiose, vediamo il Papato, attaccato e abbandonato dagli uni, sostenuto e difeso dagli altri con nuovo zelo, prendere nella storia del mondo un posto eminente”. Parole lucidissime di un grande protestante che seppe vedere e contemplare la grandezza temporale della Chiesa perché privo di alcun filtro di ottusità. E’ da questo punto di vista che il Von Ranke vuole contemplare il Papato, con l’imparzialità che egli riteneva possibile a lui storico hegeliano ormai lontano dalle passioni confessionali dei suoi antenati, ormai sgombro dal timore della tirannia papale.
Le parole di Benedetto Croce su questo brillante storico prussiano che seppe arginare le proprie spinte confessionali in favore di una storia papale che, alla fine, lo appassionò notevolmente, sono esplicative.
Croce disse “von Ranke ha colto allori inconseguibili da altri, sino al punto di scrivere, egli luterano e tale rimasto per tutta la sua vita, una storia dei papi del periodo della Controriforma, che è stata accolta con favore in tutti i paesi cattolici”.












