Il diritto alla casa ai tempi della diaspora 2.0

Notizie Geopolitiche –

L’emergenza umanitaria che deriva dalla migrazione dei popoli di aree depresse del mondo verso i Paesi più ricchi e, in qualche modo, più fortunati è cosa risaputa da tutti. Ciò che forse molti non si sarebbero aspettati, almeno non con questa impetuosità, è lo sfruttamento politico che ne sta derivando per cavalcare l’onda dell’informazione allarmista.
Guardando oggettivamente alla strumentalizzazione del fenomeno migratorio che viene fatta a livello internazionale, non si può dire che solo una certa parte di politicanti se ne avvantaggi senza scrupoli. Al contrario, fra le forze politiche che basano in buona parte il proprio consenso elettorale sul contrasto agli immigrati senza troppi scrupoli (basti pensare ai muri eretti dall’Ungheria per frenare il flusso di passaggio dai Balcani e la grande muraglia invocata da Trump ai confini con il Messico) e coloro che sembrano essere più moderati ( come nel caso di Baiden, ex vice di Obama, dichiaratamente favorevole al blocco in entrata, seppure offrendo al migrante l’opportunità di portare le proprie ragioni alle Autorità), c’è sempre una qualche incompletezza sul piano strategico che s’intende adottare per la gestione strutturale del problema.
Negli ultimi decenni i numeri sono aumentati sia per le incessanti guerre in ogni continente, ma anche per quella causa a cui si è data poca importanza: il cambiamento climatico. Solo grazie all’attenzione relativamente recente dei mass media sull’argomento ed a iniziative di grande risonanza comunicativa (una su tutte, il movimento Friday for Future innescato dalla svedese Greta Thumberg), i cittadini si stanno rendendo conto di quanto influisca il rapido stravolgimento delle condizioni ambientali allo spostamento di massa degli abitanti in fuga dalla desertificazione o dagli allagamenti.
Poiché si parla di milioni e milioni di persone che si spostano, o che hanno intenzione di farlo, le nazioni interessate dall’accoglienza devono occuparsi in prima battuta degli aspetti sanitari e di quelli abitativi. Ragionando sul caso dell’Italia e delle sue variabili politiche cosiddette “sovraniste”, il problema della casa è quello che tocca maggiormente.
I riflettori dell’informazione puntati sull’innegabile esistenza del florido business dell’accoglienza, molto amato anche da soggetti legati strettamente alla criminalità organizzata, ha alimentato una vera e propria guerra fra poveri per un tetto sulla testa. I meno abbienti residenti in attesa da anni di una soluzione abitativa sostenuta dal settore pubblico, che si vedono sorpassare da quei nuovi poveri giunti magari dall’Africa per sfuggire alle raffiche di proiettili.
Gli Stati sono così al verde? Le soluzioni dipendono così tanto dalla discrezione del governo locale, oppure ci si sta dimenticando di principi e norme tassativi?
Il diritto all’abitazione, o diritto alla casa, fu messo nero su bianco a livello normativo internazionale già nel lontano 1948 con l’art. 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, promossa dalle Nazioni Unite. Proprio il “diritto all’abitazione” venne incluso fra quei diritti di ogni essere umano per poter avere una vita dignitosa.
Nel 1966 fu inserito anche fra i diritti necessari al raggiungimento di uno standard di vita adeguato all’interno della Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali.
La definizione completamente autonoma di “housing right” (in italiano “diritto all’abitazione”) arriverà solo più tardi, combinando quest’ultima Convenzione con i General Comments 4 e 7, condiviso a livello internazionale. Il diritto all’abitazione di oggi, quindi, va ben oltre agli aspetti materiali con il concetto di “adeguate housing”, ovvero una dignitosa dimora pacificamente goduta. In ambito europeo lo stesso principio esiste nella Carta Sociale Europea, recepito dall’Italia con legge ma presente in Costituzione solo indirettamente.
L’imprescindibile passo successivo è il lavoro: i migranti più intraprendenti finiscono per commerciare piccoli oggetti come diffusore di aromi esotici o cibarie del proprio Paese, mentre innumerevoli altri finiscono nelle maglie del caporalato e della delinquenza insieme a tanti oriundi nelle stesse difficoltà. Si può parlare di fallimento del welfare moderno? Certamente lo è per la dignità dell’individuo.

Foto: tortugadatacorp / Pixabay