Il dramma dei bambini-soldato

di C. Alessandro Mauceri

In moltissimi paesi, di tutti i continenti, il numero dei bambini oggetto di violenze è in aumento: se per le bambine questo spesso significa violenze sessuali e matrimoni precoci, per i bambini i rischio è quello di finire a combattere sul fronte. Si tratta di un fenomeno che ha raggiunto dimensioni spaventose e senza che le autorità internazionali siano riuscite a fare molto.
Alcuni bambini scelgono di partecipare ad una organizzazione militare come via d’uscita dalla povertà, per la protezione, o come un modo di compensare la perdita di famiglia o una mancanza di educazione. ma la stragrande maggioranza di loro sono strappati alle famiglie contro la loro volontà.
L’ultimo “caso” a marzo durante gli scontri avvenuti al confine con l’Etiopia sono stati rapiti 43 bambini. A confermarlo è stata l’agenzia di stampa Reuters che riporta le dichiarazioni di un funzionario governativo. Meno di un anno fa in un raid simile nella provincia di Jiwako e in quella di Lare furono 160 i bambini rapiti. In Nigeria, negli ultimi tre anni, almeno 10mila bambini sono stati rapiti da Boko Haram, indottrinati al fondamentalismo e usati come combattenti, spie o kamikaze per attacchi suicidi (dati associazione Human Rights Watch). Così pure in Sud Sudan. E poi in Medio Oriente: nel Califfato da tempo ormai girano video di “madrasse” o orfanotrofi trasformati in campi di addestramento del Daesh. Qui ragazzini poco più che adolescenti sono addestrati all’uso delle armi, ad apprendere tecniche di combattimento al servizio del “jihad globale”. Che questa non sia solo una trovata propagandistica lo confermerebbe un video diffuso dall’ufficio stampa della «Wilayat» (Provincia) di Ninive, dove si fa sapere che ragazzini yazidi sono stati utilizzati come attentatori suicidi. Repubblica Centrafricana sono almeno 6mila i bambini coinvolti nei combattimenti.
E ancora. Nel 2015 un gruppo armato in Sud Sudan aveva rapito 89 bambini. Allora fu l’Unicef a lanciare l’allarme fornendo dettagli preoccupanti: i bambini, alcuni di età inferiore ai 12 anni, erano stati “prelevati” a Wau Shilluk vicino a Malakal, capitale dello stato dell’Alto Nilo, mentre erano a scuola. Altri sono stati prelevati da uomini armati casa per casa. Nei territori orientali della Repubblica Democratica del Congo, le Nazioni Unite hanno documentato casi analoghi: ragazze e ragazzi, rapiti ed utilizzati come combattenti dai ribelli dell’Esercito di resistenza del signore( LRA) o dalle Forze democratiche alleate (ADF).
Si tratta di un problema sul quale anche Amnesty International ha cercato i richiamare l’attenzione. Secondo l’organizzazione internazionale sarebbero non meno di 250.000 i bambini e le bambine soldato (ma si tratta di stime dato che dati certi non esistono). La maggior parte hanno tra i 14 e i 18 anni, ma numerosi sono quelli di età inferiore (10 – 13 anni) e vi sono testimonianze di reclutamenti di bambini ancora più giovani.
Questi “soldati in erba” vengono utilizzati in molti modi: nei combattimenti, per piazzare mine ed esplosivi, in azioni di ricognizione; alcune volte vengono utilizzati in azioni di supporto come “portatori”, nei lavori domestici o per cucinare; alcuni sono arruolati per soddisfare i desideri, anche sessuali, dei combattenti e subiscono ripetutamente violenze e abusi, come riporta Amnesty International.
Bambini sottoposti a trattamenti brutali e punizioni severe. Addestramento militare pensato per rompere le resistenze psicologiche dei e farli obbedire agli ordini incondizionatamente. Bullismo, violenza fisica e molestie sessuali sono comuni. I tentativi di fuga vengono puniti con la prigione e con esecuzioni sommarie. Sono tutte misure che a lungo andare alterano la personalità dei bambini e lasciano segni indelebili.
Per quelli che sopravvivono la vita ormai è finita. Oltre ad aver facilmente riportato ferite o mutilazioni, sono in gravi condizioni di salute: stati di denutrizione, malattie della pelle, patologie respiratorie e dell’apparato sessuale ed Aids.
Gravi le ripercussioni psicologiche dovute al fatto di essere stati testimoni o aver commesso atrocità: senso di panico e incubi continuano a perseguitare questi ragazzi anche dopo anni. A tutto questo si aggiungono le conseguenze di carattere sociale: la difficoltà dell’inserirsi nuovamente in famiglia e del riprendere gli studi spesso è tale che i ragazzi non riescono ad affrontarla. Le ragazze poi, soprattutto in alcuni ambienti, dopo essere state nell’esercito, non riescono a sposarsi e finiscono col diventare prostitute.
Il tutto in aperta violazione delle leggi e delle convenzioni internazionali a salvaguardia della salute e dell’incolumità dei bambini in caso di conflitti armati. Nel 1977, i protocolli aggiuntivi alla Convenzione di Ginevra del 1949 ha vietato il reclutamento militare e l’uso di bambini al di sotto dei 15 anni, che è ora riconosciuto come crimine di guerra secondo lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale (2002). Lo Statuto della Corte Penale Internazionale (stilato nel 1998 ma in vigore dal luglio 2002) ha definito “crimine di guerra” l’“arruolare in modo forzato o obbligatorio bambini con meno di 15 anni di età al fine di farli partecipare attivamente alle ostilità (art. 8.2 lett.b); e nel caso in cui siano stati arruolati in modo forzato o obbligatorio bambini “con meno di 15 anni di età, o usando per partecipare attivamente alle ostilità” (art. 8.2 lett. e). Lo Statuto definisce “crimine contro l’umanità” anche lo sfruttamento sessuale (art. 7.1 g). Il divieto di impiego di minori di 15 anni è stato ribadito nella Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, che ha anche definito un bambino per la prima volta come qualsiasi persona di età inferiore ai 18 anni.
Se ne è parlato anche durante i lavori per la stipula del Protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti del fanciullo concernente il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati, noto anche come OPAC (2000). L’OPAC è stato il primo trattato internazionale al mondo interamente dedicata a porre fine allo sfruttamento militare dei bambini. Il trattato vieta l’arruolamento di bambini al di sotto dei 18 anni e la loro partecipazione alle ostilità. Vieta anche il reclutamento volontario di bambini da parte di gruppi armati non statali, anche se in realtà permette alle forze armate di assumere da 16 anni, a patto che i ragazzi reclutati non vengono inviati in guerra – come avviene, ad esempio, negli Stati Uniti, che reclutano da 17 anni, e nel Regno Unito, che arruola a 16 anni).
L’ultima volta che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito per deliberare sul tema “I bambini nei conflitti armati” è stato nel 2008. Nel 2011 tuttavia il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha sollevato la questione dei bambini nelle zone di conflitto attraverso il rapporto “Extreme Measures.
Tutto inutile: oggi, oltre un miliardo di bambini sono cresciuti o vivono in uno delle decine e decine di paesi colpiti da conflitti e guerre. In Africa (in Burundi, Repubblica Centro Africana, Chad, Costa d’Avorio, Congo, Liberia, Rwanda, Sierra Leone, Somalia, Sudan, Uganda, Zimbabwe). In Asia e in Australia (in Afghanistan, Bahrain, Myanmar, India, Iran, Iraq, nell’IS, in Kurdistan, in Libano, in Nepal, nelle Filippine, a Singapore, in Sri Lanka, in Siria, in Israele e nei territori palestinesi, nello Yemen). Ma anche in Europa (in Cecenia e in Ucraina) e nell’America Latina (in Bolivia, in Colombia e ad Haiti).
E l’impatto dei conflitti armati sui bambini resta un buco nero difficile da valutare dato che “mancano informazioni affidabili e aggiornate”, come ammette lo stesso UNICEF.