Il Libano, tra sfide e difficoltà

di Daniele Garofalo –

Individuato l’accordo per la formazione del nuovo governo, il Libano si troverà ad affrontare numerose sfide e difficoltà sia nella politica interna, in particolare dal punto di vista economico e sociale, sia nei rapporti con gli attori regionali e internazionali coinvolti nella politica libanese.
La situazione politica libanese si trova da un decennio in una condizione di stallo, con le precedenti elezioni parlamentari che si erano tenute nel 2009. La scadenza del mandato parlamentare era prevista per il 2013 e le elezioni sono state posticipate per due volte causa le precarie condizioni di sicurezza interne ed esterne. Stesso problema si è avuto anche con le elezioni presidenziali, poiché il mandato del presidente maronita Michel Suleiman era scaduta nel 2014, a cui sono seguiti due anni di blocco istituzionale, durante i quali il parlamento non è riuscito ad eleggere un nuovo presidente fino al 2016, quando fu eletto il cristiano Michel Aoun, gradito sia alle forze politiche sunnite guidate da Hariri che a quelle sciite alleate con Hezbollah. Nel giugno 2017, il parlamento è riuscito ad approvare la nuova legge elettorale e a fissare la data delle elezioni per il maggio 2018. La nuova legge elettorale ha trasformato il sistema elettorale libanese da maggioritario a proporzionale, ciascun elettore quindi vota sia per una lista di candidati sia per un candidato singolo della lista scelta, è stato ridotto il numero dei distretti elettorali a 15, è stata elevata la soglia di sbarramento al 10%, mantenendo però la divisione dei seggi in base all’appartenenza confessionale dei candidati. In Libano infatti convivono diciotto comunità religiose riconosciute dalla Costituzione, che per garantire la convivenza e la governabilità nel paese è stata redatta con un assetto istituzionale fondato sul confessionalismo, stabilito dopo l’indipendenza del 1943 dal “Patto Nazionale” e confermato con gli accordi di Ta’if del 1989 che posero fine alla guerra civile (1975 – 1990). In parlamento, dunque, ogni comunità religiosa ha una propria quota di seggi riservata che prevede per i 128 seggi disponibili, la seguente ripartizione:

– 64 seggi alle comunità cristiane così suddivisi: 34 ai cristiano maroniti, 14 ai cristiani greco-ortodossi, 8 ai cristiani melchiti (greco-cattolici), 5 ai cristiani armeno-ortodossi, 1 a testa per le restanti minoranze cristiane (siriache, protestanti e copte);
– 64 seggi alla comunità musulmana: 27 ai sunniti, 27 agli sciiti, 8 ai drusi e 2 agli alawiti.
Le tre principali e più alte cariche dello Stato vengono anch’esse ripartite tra le tre confessioni più numerose:
– Presidente della Repubblica deve essere cristiano maronita;
– Primo ministro deve essere un musulmano sunnita;
– Presidente del Parlamento deve essere un musulmano sciita.

Michel Aoun.

Le elezioni si sono finalmente tenute il 6 maggio 2018. Nelle settimane precedenti circa 92 mila libanesi residenti all’estero, in 39 Paesi, hanno votato per la prima volta. La maggioranza dei seggi, 70 su 128, è stata conquistata dall’ “Alleanza 8 Marzo” composta da Hezbollāh, dal partito sciita Amal e da FPM, “Free Patriotic Movement” il partito cristiano maronita del presidente Aoun. Benché essi hanno conquistato la maggioranza dei seggi, non hanno ottenuto la maggioranza assoluta di due terzi indispensabile per governare. Il partito del premier uscente Hariri, al-Mustaqbal, ha perso circa un terzo dei seggi, conquistandone 20, restando comunque la forza sunnita più forte in parlamento, mentre i loro alleati, i cristiani maroniti delle Lebanese Forces (LF), hanno invece quasi raddoppiato i loro consensi, conquistandone 15. Il presidente libanese Aoun ha affidato al premier uscente, Saad Al-Hariri l’incarico di formare un nuovo governo, la cui nomina è stata sostenuta da 111 membri su 128 del Parlamento. Il leader sciita di Amal, Nabih Berri, invece, è stato rieletto come presidente del Parlamento libanese. Da maggio a gennaio il Libano ha attraversato una complicata fase di transizione politica legata alla difficoltà di formare un nuovo governo. Le contrattazioni hanno incontrato numerosi ostacoli legate al desiderio di ogni partito di guadagnare peso specifico o ministeri nel nuovo esecutivo. Dopo 8 mesi di trattative il primo ministro Hariri ha annunciato il raggiungimento di un accordo per la formazione del nuovo esecutivo che sarà composto da 30 ministri, di cui 4 donne. FPM di Aoun ha ottenuto 11 ministeri, tra cui una donna, Nada Boustani, che sarà il ministro dell’Energia, il delicatissimo ministero delle Finanze, affidato ad Ali Hassan Khalil e il ministero della Difesa, invece, affidato ad un alleato di FPM, Elias Bou Saab. Hezbollāh ha ricevuto tre ministeri, fra cui l’importante ministero della Sanità, assegnato al medico sciita Jamil Jabak e il Ministero degli Esteri affidato a Gebran Bassil, alleato politico di Hezbollāh e genero del presidente libanese. Il movimento Amal, l’altro partito sciita della coalizione, ha ottenuto anch’esso tre ministeri, mentre il partito del premier del Governo, Hariri, ha ottenuto 5 ministeri, tra cui il ministero degli Interni affidato ad una donna, Raya al-Hasan.

Le sfide di politica interna.
Tra le sfide più importanti che il nuovo governo dovrà affrontare vi è senz’altro quella riferita alla delicata situazione dell’economia libanese, che necessità di urgenti riforme. Il Libano è un paese estremamente indebitato, sia a livello pubblico sia nel privato. Il debito pubblico corrisponde a circa il 130% del PIL, si tratta del terzo più alto al mondo, e il deficit di bilancio è a circa il 20% del PIL. Una delle motivazioni che spiega l’ingente debito pubblico deriva dalla ricostruzione seguita alla guerra civile libanese conclusasi nel 1990 e da quella con Israele terminata nel 2006, finanziata tramite ampi prestiti. La situazione economica è peggiorata a partire dal 2011 con la guerra in Siria e il costante pericolo delle avanzate in territorio libanese dei gruppi del terrorismo islamista, che ha avuto importanti conseguenze sull’economia del paese, poiché lo ha condotto all’isolamento dalle rotte commerciali orientali, proprio la Siria è uno dei principali partner, oltre che scoraggiare gli investitori esterni. A peggiorare la situazione, economica e sociale, è la presenza all’interno del territorio libanese dell’ingente numero di rifugiati, tra cui risultano un milione di siriani, pressappoco 175.000 palestinesi e circa tre mila iracheni. L’arrivo in massa dei profughi, siriani in primis, ha accresciuto considerevolmente la concorrenza sul mercato del lavoro, in particolare per ciò che concerne la manodopera non specializzata, ha creato squilibrio nella delicata situazione confessionale del paese e ha prodotto importanti ricadute nell’ambito della sicurezza interna in particolar modo per ciò che riguarda le infiltrazioni jihadiste nei campi profughi. Tra le altre sfide che il governo si troverà ad affrontare vi è senz’altro il problema della corruzione e dell’economia sommersa, che causa ogni anno una perdita di circa 10 miliardi di dollari l’anno. Il nuovo governo dovrà, per risollevare la difficile situazione economica, inevitabilmente puntare su turismo, banche e nel settore edilizio, da sempre i tre pilastri e punti di forza dell’economia libanese, oltre che riproporsi come importante Hub finanziario e polo di servizi di riferimento della regione mediorientale. Una potenziale soluzioni potrebbe giungere anche dalla scoperta dei giacimenti di greggio e gas al largo delle coste libanesi che potrebbero trasformare il Libano in un produttore di idrocarburi e quindi azzerare le spese, di circa 3 miliardi di dollari annui, per la loro importazione, che condurrebbero ad un forte calo del deficit commerciale.

La crescita esponenziale di Hezbollah.
Hezbollah gode di grande ammirazione presso una parte sempre più importante dei libanesi, siano essi musulmani o cristiani. Con la netta vittoria alle elezioni legislative libanesi del maggio 2018, Hezbollah sta proseguendo la sua inarrestabile ascesa politica e militare in Libano e in generale come attore sempre più influente in Medio Oriente. Gli Hezbollah nel Sud del Libano, nella Valle della Bekaa e nella periferia sud di Beirut, hanno creato una struttura tentacolare che ne ha fatto un’organizzazione presente in tutti i campi, dal sociale al culturale, fino a quello assistenziale e militare. Oltre al partito politico e all’ala militare, Hezbollah è composto di una complessa struttura: la Bayt al-Mal, che si occupa dei servizi finanziari, degli investimenti e del banco di credito; la Jihad Al Binna, fondazione immobiliare che si occupa di sostenere economicamente le spese per il recupero dei danni causati dalla guerra: l’“Organizzazione per il sostegno alla resistenza islamica”, un fondo caritatevole utilizzato per raccogliere finanziamenti e pagare i servizi offerti dal Partito ai cittadini. Il gruppo gestisce inoltre un canale televisivo chiamato Al-Manar. L’ala politica di Hezbollah è molto attiva all’interno del paese in campo sociale, nell’istruzione, nell’assistenza sanitaria, nel sostegno economico alle famiglie povere, nella ricostruzione delle abitazioni e delle infrastrutture. Il gruppo, inoltre, finanzia servizi e strutture sociali, agricole e la costruzione e manutenzione di scuole e ospedali. Hezbollah si è più volte espresso in maniera critica verso il sistema politico su base confessionale presente nella Costituzione libanese, considerandolo un ostacolo alla vera democrazia. Essi considerano il confessionalismo politico utile nel garantire la convivenza sociale e politica, ma auspicano una sua futura abolizione per il raggiungimento di una reale democrazia che garantisca la rappresentanza parlamentare senza distinzione di religione. Inoltre si essi hanno dichiarato di puntare a realizzare un’autorità giudiziaria indipendente, rafforzare lo sviluppo dell’agricoltura, del turismo e delle industrie e garantire la tutela sociale e il ruolo delle donne all’interno della società libanese.

Le difficoltà con gli attori esterni.
A causa della sua posizione geografica, il Libano è da sempre oggetto delle mire e delle influenze di attori regionali ed internazionali. È innanzitutto la dualità tra Iran e Arabia Saudita ad influenzare la politica libanese, con i sauditi storicamente sostenitori del clan Hariri e gli iraniani invece collaboratori e finanziatori di Hezbollah. I rapporti tra Hariri e l’Arabia Saudita si sono parzialmente deteriorati nel corso degli ultimi due anni, a causa del parziale riavvicinamento tra Hariri e il blocco composto dal FPM di Aoun ed Hezbollah, quest’ultimi considerati terroristi dai sauditi. Nel 2016 il governo di Riyadh ha, quindi, interrotto lo stanziamento di aiuti militari ed economici al Libano. Nel novembre del 2017 il premier Saad Hariri ha quindi annunciato le proprie dimissioni, probabilmente su pressioni del governo di Riyadh. Hariri, però, ha fatto rientro in Libano e ha rinunciato alle dimissioni grazie alla mediazione del presidente francese Macron e di quello libanese Aoun. Anche per Israele, Hezbollah è considerato un gruppo terrorista e nemico da combattere, per il suo strenuo supporto alla resistenza palestinese e sia per la vicinanza all’Iran, senza tralasciare che i rapporti tra il governo di Beirut e quello di Tel Aviv, sono peggiorati delle dispute sulla sovranità delle acque del Mediterraneo orientale in cui sono stati scoperti importanti giacimenti di Gas. Nello scenario libanese, oltre alla sempre più forte influenza iraniana si sta affacciando anche la Russia che punta estendere la propria influenza anche in Libano tramite iniziative culturali, economiche, ed esplorazioni energetiche. Il piano di Mosca è frenato però dal legame che storicamente il Libano ha con gli USA.