La Germania e il suo rapporto complicato con la geografia

di Gianvito Pipitone

Chissà come si sarebbe presentato lo skyline delle città tedesche se solo nel lontano 1945 la Germania avesse vinto la Seconda Guerra Mondiale? Di certo avrebbe esibito una sfilza di archi di trionfo, statue bronzee e un discreto numero di obelischi in più rispetto a quelli che adornano oggi il salotto delle sue principali città capoluogo.
E chissà fin dove si sarebbero spinti i propri confini orientali da sempre oggetto del desiderio dei sogni germanici? Non dimentichiamo che già durante la massima espansione dell’Impero Prussiano a fine Ottocento molte città del Baltico erano state perfettamente germanizzate e che la lingua di Goethe era di casa fino ad 800 km ad est di Berlino, fino all’odierna Kaliningrad in Russia.
E spostandoci un po’ più a sud, quanta della vecchia Mittel-Europa avrebbe parlato la lingua tedesca? Quanti Balcani sarebbero entrati al giorno d’oggi nella Grande Germania?
Cambiando versante, ad ovest, spazio tradizionalmente alieno alla sua portata: quanta Francia avrebbe controllato direttamente Berlino? Esisterebbero ancora i Paesi Bassi? o sarebbero stati inglobati in un unico grande Land?
Tutte considerazioni parecchio oziose, dal momento che la storia (fortunatamente) è andata da un’altra parte e che la Battaglia di Stalingrado è lì, sui libri di storia, a ricordarcelo.
Ma se plasmare ucronie ci può aiutare nel fine esercizio intellettuale della speculazione fine a se stessa, per studiare scenari politici futuri servono invece dati certi ed oggettivi: la geografia è uno di questi. E fra i più importanti.
La Germania ad esempio, per il suo allargarsi o restringersi a mo’ di una fisarmonica, di fatto non è sempre stata lì dov’è ora. Non nello stesso posto, fissa, almeno: compressa fra il mondo latino ad ovest, quello slavo ad est, tenuta d’occhio con estrema circospezione dai cuginastri scandinavi che fungono quasi da attento cane da guardia da settentrione; ed infine, braccata dall’accesso verso un mare caldo dalla insormontabile catena delle Alpi.
Era inevitabile che fra il mondo germanico e i suoi immediati vicini di casa si creassero nel tempo una serie di regioni cuscinetto, di faglie, spesso motivo di aspre contese: l’Alsazia, la Polonia occidentale, i Sudeti nella repubblica Ceca, il Limburgo, verso l’Olanda.
Quello orientale è sempre stato il limes più incerto e combattuto della Germania. Molto più di quello occidentale, dove già dal 79 d.c. lo storico Tacito ci aveva lasciato testimonianza di un confine preciso compreso oltre il solco dei due grandi fiumi: Reno e Danubio. Fu al di là dei due fiumi che si ammassarono le popolazioni germaniche e/o gotiche che, con il passare del tempo, dovettero trovare il modo di difendersi dal disordinato sopraggiungere di popolazioni di un altro ceppo, gli slavi.
Ed è contro questi ultimi che da sempre hanno ingaggiato una lotta per quel famoso e famigerato spazio vitale, il Lebensraum.
Volendo, in estrema sintesi, l’idea di Germania è sempre stata tutto ciò che è compreso dal Limes Romano fino al primo avamposto slavo. Piu’ oltre, in quello spazio vitale più volte conquistato e ripetutamente perduto, si può ritrovare invece, ancora oggi, una parte degli echi di una frustrazione e di un disagio storico tutto di matrice tedesca: quell’ amaro retrogusto cioè di sentirsi i primi della classe eppure di essere relegati ad una sorta di ristrettezza che non rende l’onore dovuto. Spia di una malcelata volontà di egemonia (culturale, economica e militare) sullo spazio circostante che, a torto o a ragione, viene percepito come proprio.
Storicamente la Germania è una nazione giovane, nata nel 1871 dall’incrocio di almeno due modelli diversi (quello prussiano e quello dei principati del sud), ma sicuramente ambiziosa, spavalda, sicura di sé e molto volitiva. Mutatis mutandis, guardacaso sono sempre le stesse caratteristiche che ritroviamo all’interno della tradizione storica teutonica, oggi per fortuna declinati in un contesto oramai pacificato e di rilevanza solo squisitamente commerciale e geopolitica.
La storia è fatta da sorprendenti ricorrenze e da inaspettati ritorni, ogni volta mascherati da dinamiche completamente diverse. E non è un caso che la storia si ripeta: proprio perché la geografia si ripete, nel tempo, quasi sempre simile a se stessa. Ed è stata spesso la geografia a favorire o penalizzare i popoli germanici.
L’assimilazione con i popoli latini non è mai stata una seria opzione: troppo diverse le due basi culturali. Ad ovest Berlino ha forse avuto sempre soggezione di Parigi. L’ha sempre guardata con ammirazione ed invidia, come si fa probabilmente verso una principessa da corteggiare, con le buone maniere e da impalmare, nella migliore delle prospettive. Discorso simile ma non uguale con Roma dalla quale Berlino subisce un fascino diverso: il fascino storico e il conseguente rispetto che le ispira la città eterna. Ma in questo caso si vede lontano un miglio, non può rappresentare l’oggetto del suo desiderio.
L’est invece è sempre stato un territorio di conquista per la Germania, il proprio “far west” dove si estendono le vaste praterie che circondano Praga, Varsavia, Budapest, Pressoburgo (odierna Bratislava). Laddove i soldati tedeschi si sono sempre sentiti più a casa, rispetto che a Parigi, Roma o Madrid.
Oltre alle due grandi famiglie di estranei, latini e slavi, con cui è costretta bene o male a relazionarsi, da sempre la Germania deve fare i conti con la propria famiglia. C’è stato e c’è tuttora un rapporto speciale che lega Berlino a Vienna, per quanto le due città siano da sempre state incredibilmente diverse: quasi agli antipodi. E come spesso capita fra anime molto diverse, spesso sboccia l’amore, complice anche un comune sentire oltre che la stessa identica lingua natìa. Tutt’altra pasta Zurigo che, per evitare di essere risucchiata dalla sfera di influenza di Berlino, da sempre parla per bocca di Berna, meno tedesca, più fuori mano, più nascosta, ai piedi di montagne aspre e selvagge e attorniata da pittoreschi laghi. Da quelle parti i tedeschi di Germania non si sentono a casa più che a Madrid o Dublino.
Con buoni o cattivi rapporti di vicinato, circondata da parenti serpenti o da fastidiosi sconosciuti, spostando talvolta il proprio baricentro ora più a est ora indietreggiando di qualche centinaia di chilometri a ovest, la Germania è rimasta più o meno sempre da quelle parti: risorgendo negli anni del boom da una guerra disastrosa che ne ha segnato pesantemente il profilo psicologico; già capace agli inizi degli anni Settanta di imporsi fra le prime tre economie mondiali, alle spalle di Usa e Giappone; considerata potenza trainante negli anni Ottanta; rallentata solo dall’Unificazione con la sua parte orientale, rimasta gravemente indietro durante la DDR; ma prepotentemente tornata protagonista già all’inizio degli anni 2000. Per sfoderare oggi davanti all’Europa e al mondo intero i titoli di incontrastata Regina d’Europa.
Difficile tenerla a freno, questo ci dice la storia: è nel dna dei tedeschi, nella loro laboriosità, nella forza mentale e nella dedizione alla causa che forse vanno ricercate le peculiarità della ricetta di Berlino. E nella indubbia qualità dei suoi politici che malgrado le divergenze hanno saputo dare delle risposte ai problemi più importanti. È successo anche recentemente dapprima con la grave crisi economica del 2008, quando la Germania ha saputo riadattarsi in corso d’opera, passando dall’intransigenza del periodo dell’Austerità ad una impensabile flessibilità che avrebbe messo al riparo dalle turbolenze diverse economie europee più deboli (Grecia, ma anche Italia, Portogallo, Spagna e in misura minore la Francia). In seguito, durante i drammatici eventi della dittatura del Califfato in Siria, ha certamente stupito l’atteggiamento di apertura della Germania all’acquisizione di quasi un milione di profughi siriani in smobilitazione dal Medio Oriente. Un gesto che ha segnato due colpi a favore dello stato tedesco: il primo, come contributo fattivo alla lotta al terrorismo, e il secondo una vittoria nei confronti dell’ala più intransigente della propria società interna: quell’estremismo di destra che con il partito dell’AFD ha segnato un preoccupante ritorno all’odio di matrice razzista. Un problema, va da sé, comune in tutta Europa.
Ora, a qualche settimana dalla fine dell’era del cancellierato di Angela Merkel, durato ininterrottamente quasi 18 anni, attraverso 4 lunghe legislature, ha senso chiedersi che tipo di Germania ci dovremo aspettare nel prossimo futuro? Sì. Ne va del destino di tutti noi.