di Giovanni Caruselli –
Il World Economic Forum, durante i suoi periodici summit, dedica sempre più attenzione alle prospettive di sviluppo dei Paesi del Sud del mondo, troppo a lungo considerati colonialisticamente solo per le loro materie prime e la loro forza lavoro. Prendere in mano il proprio futuro, pur cooperando con i Paesi ricchi è l’obiettivo che incomincia a proporsi il mondo degli esclusi dal benessere. E non mancano gli strumenti per aprire questa strada. Innanzitutto il fattore demografico, che anche nei Paesi sviluppati conserva la sua importanza, in particolare per la piramide delle età. Prendiamo ad esempio l’Arabia Saudita, dove solo il 3% della popolazione ha più di 65 anni: se il sistema dell’istruzione venisse ben strutturato, in modo da favorire una selezione di quei talenti che statisticamente si ritrovano in tutte le popolazioni, le probabilità di avere in futuro una classe dirigente veramente capace sarebbero molto più alte che in altri paesi ben più popolati.
Gli obiettivi comuni a quasi tutti i Paesi del sud del mondo sono il raggiungimento di un tenore di vita paragonabile a quello dei Paesi sviluppati, la realizzazione delle infrastrutture essenziali, come strade, ferrovie, ospedali, scuole, servizi sociali, centrali elettriche, etc, e la piena, o relativa, indipendenza politica, per quanto sia possibile in un mondo altamente globalizzato. I Paesi del sud hanno di fronte due blocchi: da una parte la tradizionale alta finanza dell’occidente, titolare dei capitali che fino ad oggi sono stati essenziali per qualunque avanzamento delle economie, dall’altra i BRICS, molto forti demograficamente e già sviluppati in alcune aree produttive.
La diffidenza nei confronti del primo gruppo è giustificata dai rapporti coloniali passati, e attualmente dalla montagna di debiti loro dovuti per i prestiti erogati dalle istituzioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Nei confronti del secondo blocco prevale una certa fiducia, che però rischia costantemente di ridursi. I BRICS tendono ad assumere il controllo di grandi aree geografiche abbandonate dai vecchi colonizzatori e per farlo devono guadagnarsi la fiducia dei Paesi poveri che non intendono passare da una tradizionale dipendenza a una nuova dipendenza. I cinesi ad esempio nel mondo occidentale sono accusati di attrarre nella “trappola del debito” piccoli Paesi africani e asiatici, offrendo capitali che però dovranno essere restituiti con gli interessi o con cessioni di materie prime. In questo caso sarebbe cambiato poco, se non fosse che Pechino costruisce infrastrutture che i Paesi del sud non sarebbero in grado di realizzare da soli.
Ma c’è anche un secondo problema. Tutti gli economisti concordano sul fatto che la cooperazione è indispensabile per la crescita dei Paesi poveri. Ma mettere insieme cooperazione e competizione è molto difficile. Soprattutto in un momento storico in cui le tensioni geopolitiche e militari si sono acuite rapidamente e gli investitori tendono a mettere sotto controllo i capitali impiegandoli in aree vicine e governabili.
Nell’ottica di dare inizio a un percorso comune, il World Economic Forum ha riunito un gruppo di grandi dirigenti di aziende cinesi e dell’area del Golfo per esplorare le vie di una possibile partnership. L’import export fra gli Stati produttori di petrolio e il Dragone sono singolarmente complementari. Pechino deve comprare petrolio e gas per le sue nuove industrie e i Paesi del Golfo importano sempre più beni di consumo dalla Cina. L’interscambio nel 2022 ammontava a 505 miliardi di dollari, il 76% in più di dieci anni prima. Le aziende private saudite nel Dicembre del 2022 hanno firmato ben 35 memorandum d’intesa con il Presidente Xi Jinping durante la sua visita ufficiale. Non si può ignorare che in questo caso gli accordi spesso ignorano totalmente il problema climatico ambientale, ma è anche vero che gli investimenti sauditi servono ad alimentare l’industria dell’auto elettrica che ha in Cina il Paese leader. Inoltre Dubai ha stretto accordi con aziende cinesi per lo sviluppo di energie alternative mettendo a disposizione per la ricerca circa un miliardo di dollari. Insomma si assiste a un interscambio di tecnologie, personale specializzato, capitali e ricercatori da cui dovrebbe nascere una pacifica e reciproca conoscenza, che è già partita con l’istituzione di scuole di mandarino nei Paesi arabi e di arabo in Cina. Si tratta di un processo di lungo o lunghissimo periodo iniziato in questi anni e con buone prospettive.