Immigrazione, accoglienza e integrazione

di Giuliano Maciocci –

Il presidente Sergio Mattarella ha nei giorni scorsi affermato che “Il veleno del razzismo continua a insinuarsi nelle fratture della società e in quelle tra i popoli. Crea barriere e allarga le divisioni. Compito di ogni civiltà è evitare che si rigeneri”. Una gestione sana e intelligente dell’immigrazione deve essere infatti l’obiettivo principale di qualsiasi governo affinché’ l’accoglienza – nei limiti delle possibilità del paese ospite – si trasformi in integrazione proficua e utile alla società.
Perché ciò avvenga è necessario in primo luogo far chiarezza ed eliminare la confusione, voluta o meno, che regna intorno ai termini che circondano la parola immigrazione.
Recentemente un mio conoscente italiano è diventato cittadino australiano. Dopo più di cinque anni, laureato, ottimo lavoro, test di lingua inglese e giuramento sulla Costituzione, ha ricevuto il suo nuovo passaporto. Questo percorso, nei paesi civili, si chiama Immigrazione. Un siriano cristiano, con famiglia, riesce a raggiungere l’Italia via Giordania con l’aiuto di Israele per sfuggire alla guerra nel suo paese. Come rifugiato/profugo può fare richiesta di asilo.
Il tunisino, senegalese, ghaniano che sborsa cifre ingenti e rischia la vita salendo su un gommone alla volta dell’Italia configura il reato di immigrazione illegale o clandestinità.
La guerra di Libia, fortissimamente voluta da Nicolas Sarkozy e da Hillary Clinton (il cui curriculum al tempo consisteva solo di un paragrafo: “Sono donna e moglie di Bill” – poco per candidarsi alla presidenza), ha eliminato il tappo dell’imbuto Nordafricano, aprendo la strada a grandi migrazioni economiche verso l’Europa dai paesi del Sahel.
Questo ultimo caso, il più grave a colpire l’Italia negli ultimi anni, avrebbe dovuto essere gestito con i dovuti controlli nei centri di prima accoglienza, rimpatriando immediatamente i non aventi diritto (circa il 95%). Al contrario è stato incoraggiato da persone senza scrupoli che hanno creato un’intera economia intorno al traffico di esseri umani, e da un’ingiustificata clemenza giuridica. Questo clima da “Far West”, comunicato rapidamente dai clandestini a parenti e amici, ha agito da calamita, trasformando un pur penoso stillicidio in un flusso inarrestabile. Va notato che spesso i clandestini distruggono o nascondono i documenti per prolungare la loro permanenza con richieste di asilo infondate. Accertarne l’origine con interpreti per riconoscerne etnia o dialetto non è difficile. Inoltre, sarebbe buona politica considerare clandestino – salvo rare eccezioni – chiunque non sia in possesso di un documento di identificazione; un obbligo imprescindibile in qualsiasi paese africano o mediorientale.
Purtroppo, come si è notato, meschini interessi sia finanziari che economici hanno incoraggiato queste sofferenze, causando morti e dolore infiniti. Lavoro nero, svalutazione dei salari, traffico di esseri umani, si sono rivelati troppo lucrativi perché la bassa politica, le Mafie, alcune associazioni “umanitarie” ed altri ne rimanessero lontani.
Per giustificare la vergogna di cui sopra, questi criminali hanno elaborato una dialettica particolare. Alcuni esempi:
– Mai specificare (nei dibattiti pubblici o sui giornali) se si parla di migranti legali o illegali;
– Nascondere i veri motivi del favoreggiamento (lavoro nero, svalutare salari) dietro ragioni umanitarie;
– Insistere sul fatto che gli italiani non vogliono fare certi lavori (traduzione: meglio schiavi mal pagati e senza protezioni sociali piuttosto che lavoratori italiani);
– Ripetere ad libitum “anche noi eravamo migranti” (sorvolando sul fatto che eravamo richiesti da paesi disperati per avere manodopera).
– Considerare l’integrazione come una vaga speranza invece di un percorso imprescindibile, una conditio sine qua non (come il recente scandalo a Napoli del consigliere municipale di origini cingalesi che non capisce una parola di italiano dopo 20 anni che vive in Italia ha comicamente esposto).
– Giocare sull’equivoco dell’ignoranza della legge da parte del clandestino che commette un reato: primo, ciò non costituisce una giustificazione di fronte alla legge; secondo, è oggettivamente falso: in nessun paese lo spaccio di droga, lo stupro, il furto o l’omicidio sono tollerati; anzi, le punizioni sono molto più severe di quelle che la nostra “colpevole” indulgenza applica.
Per tornare all’appello del presidente Mattarella, eco italiana del più generico Global Compact for Migration dell’ONU, manifesto globalista, è evidente che ad avere un peso determinante nella politica d’immigrazione devono essere i numeri dell’accoglienza, il livello della possibile integrazione, la potenziale assimilazione (che varia a seconda del paese di provenienza), e le condizioni del paese ospitante. Le classi meno abbienti potrebbero altrimenti risentire del trattamento preferenziale riservato ai nuovi venuti, creando insofferenza, senso di abbandono, o addirittura rigenerando razzismo, come teme il presidente. Facile comprendere dove sfocerebbe lo sdegno di milioni di giovani disoccupati, la rabbia dei terremotati bisognosi ma ignorati, la delusione di padri di famiglia senza lavoro, qualora le priorità del governo fossero malriposte.
È imperativo quindi sottolineare che accoglienza e inclusione sociale devono essere riservate ai veri profughi (una percentuale minima, nel caso dell’Italia), tenendo presente che anch’esse sono possibili solo limitatamente alle risorse disponibili. L’Italia purtroppo al momento non è nelle condizioni migliori nemmeno per gestire l’immigrazione legale.
La situazione in Italia è grave e dall’Europa non ci possiamo aspettare alcun aiuto: allo stato attuale delle cose infatti, come lo storico Niall Ferguson nota, la crisi migratoria di cui soffre l’Europa rischia di essere il motivo principale del suo prossimo smembramento: “Far from leading to fusion, Europe’s migration crisis is leading to fission”, Stanford’s historian Niall Ferguson recently wrote. “Increasingly, I believe that the issue of migration will be seen by future historians as the fatal solvent of the EU”.
Oltre ai disagi di cui soffre la popolazione a causa della passata gestione inefficiente e venale del fenomeno, la criminalità è in aumento e alcuni episodi sono preoccupanti. È indispensabile e urgente però contrastare l’immigrazione illegale e i trafficanti nell’ambito del rispetto dei diritti umani. Sarebbe crudele sia nei confronti degli immigrati, che finirebbero per ingrossare le fila di schiavi, spacciatori e bande criminali, sia nei confronti degli italiani, accogliere indiscriminatamente chi non è interessato ad una partecipazione attiva e produttiva nella società.
Il generale di Corpo d’Armata Vincenzo Santo ha presentato un interessante piano in 12 punti al governo attuale, per arginare il fenomeno. Potrebbe rappresentare un ottimo punto di partenza.
Anche l’Australia può offrire spunti per una politica d’immigrazione seria: “If you get on a boat without a visa, you will not end up in Australia. Any vessel seeking illegally to enter Australia will be intercepted and safely removed beyond Australian waters” recita un poster che mira con successo a scoraggiare l’immigrazione clandestina. A questo proposito, spaventa pensare che al contrario l’Italia lo scorso ottobre si impegnava in un progetto di tre milioni di euro (spot, pubblicità, etc.) per attirare i clandestini (“Vieni da noi”), ora fortunatamente revocato dal nuovo governo.
Singapore negli anni ‘90, ebbe necessità di aumentare la manodopera per gestire il suo spettacolare sviluppo. Si costruirono quindi edifici popolari per ospitare l’influsso di migranti, avendo cura di assegnare le abitazioni di uno stesso piano e di uno stesso palazzo ad etnie diverse (cinesi, malesi, indù, indonesiani ), per diversificare gli insediamenti e incoraggiare l’integrazione (The Quest for a Balanced Ethnic Mix: Singapore’s Ethnic Quota Policy Examined).
Purtroppo, l’Europa (Gran Bretagna, Germania, Francia, Scandinavia – ma l’Italia rischia di fare lo stesso) ha fatto esattamente l’opposto, creando ghetti di triste memoria, dove è difficile persino fornire servizi sociali essenziali e dove la polizia stessa ha paura di entrare, dimenticando che il
multiculturalismo è l’antitesi dell’integrazione.
Chi si preoccupa del calo demografico deve comprendere che alcune politiche, anche se auspicabili, possono essere applicate solo quando le condizioni lo permettano: stabilizzata l’economia, diminuita la disoccupazione, migliorata la situazione dell’edilizia, l’Italia sarà in grado di gestire al meglio l’immigrazione legale. Si potranno pubblicare periodicamente tramite le ambasciate liste di qualifiche professionali di cui il paese è carente e di cui abbisogna, e così arricchire la collettività. Condizioni migliori incoraggeranno famiglie più numerose e faciliteranno l’integrazione dei veri rifugiati e degli immigrati regolari.

Giuliano Maciocci – @captain_Marlow.