Immigrazione. Una proposta di buon senso su cosa fare

di Ciro Maddaloni * –

Il problema dell’immigrazione clandestina non è un problema (solo) italiano, ma riguarda tutti i Paesi che hanno aderito agli accordi di Schengen: cioè quelli che fanno parte dell’Unione Europea, più Norvegia, Islanda, Svizzera e Liechtenstein che non fanno parte dell’Unione.
La mancata protezione da parte dell’Italia delle frontiere esterne all’Area Schengen, crea problemi anche agli altri Paesi europei dove gli immigrati clandestini tentano di andare una volta approdati in Italia. Per queste ragioni la Francia prima e l’Austria successivamente hanno più volte reintrodotto i controlli alla frontiere interne, proprio per contrastare il movimento dei migranti dall’Italia verso i loro Paesi.
I migranti richiedenti asilo politico possono presentare la loro richiesta nel paese di primo ingresso dell’Area Schengen e devono rimanere in quel Paese fino a che non viene accolta la loro richiesta di asilo e la loro richiesta di essere trasferiti in un altro Stato europeo che accetta di accoglierli.
I soggetti richiedenti asilo effettivamente ammessi nei programmi di protezione internazionale, sono una piccolissima parte rispetto ai migranti che giungono in Europa. Meno del 5% delle richieste di asilo presentate vengono concretamente accolte, essendo la stragrande maggioranza dei richiedenti costituita da “migranti economici”, quindi non qualificati ad ottenere asilo e protezione internazionale. Tale principio (Trattato di Dublino) applicato alla lettera, ha scaricato il peso dei flussi migratori quasi esclusivamente sui paesi esposti alle rotte migratorie del Mediterraneo, ossia Italia, Grecia, Malta e Spagna.
Si evidenzia che una buona parte degli sbarchi in Italia avvengono attraverso il trasbordo tramite le navi delle ONG che operano nel Mediterraneo per soccorrere i “naufraghi”. La totalità delle navi delle ONG battono bandiere di altri Paesi europei.
Dato che gli altri Paesi europei si appellano all’applicazione rigorosa degli accordi di Dublino che prevedono che la domanda di asilo sia presentata nel Paese Schengen di primo ingresso dei migranti, le navi delle ONG che operano in acque internazionali sono territorio dello Stato di cui battono bandiera. Infatti, in base al diritto internazionale la nave, fuori dalle acque territoriali di un altro Stato, è considerata “territorio” dello Stato della Bandiera (Articolo 92-1 UNCOS – United Nations Convention on the Law of the Sea).
Dunque, sulla nave in mare alto si applicano le leggi, tutte le leggi, anche quelle penali, dello Stato della Bandiera. Per queste ragioni il Paese di primo ingresso per i “naufraghi” soccorsi in acque internazionali da una ONG, è quello dello Stato che ha concesso le autorizzazioni alla navigazione e la bandiera alla nave.
L’Italia rimane Paese di primo ingresso nell’area Schengen solo nel caso in cui i migranti siano riusciti in piena autonomia a raggiungere le sue coste.
Il contrasto, all’immigrazione clandestina è possibile solo attraverso una reale cooperazione da parte di tutti i Paesi che aderiscono al trattato di Schengen per la
creazione di vie legali di accesso all’Europa, consentendo ai consolati e alle ambasciate nei Paesi di partenza o di transito dei migranti, di vagliare le richieste di asilo, in modo tale da permettere a chi ottiene il visto, di poter giungere in Europa legalmente, attraverso le frontiere e non da clandestini. Questo per contrastare il traffico illegale di esseri umani e per evitare le stragi in mare.
Così come tutti i costi sostenuti per il contrasto all’immigrazione clandestina, per la gestione dei rimpatri e la gestione dell’accoglienza dei richiedenti asilo dovranno essere imputati con copertura integrale al bilancio dell’Unione Europea e dei Paesi che partecipano agli accordi di Schengen.
Solo in questo modo i cittadini italiani torneranno ad avere fiducia nelle Istituzioni europee, perché avranno evidenza di una Europa solidale, equa dove si opera insieme per il bene comune.

* Esperto di Schengen – Sistema di controllo delle frontiere.

Articolo in mediapartnership con il Giornale Diplomatico.