India. La Corte suprema conferma la legalità della demonetizzazione dell’86% del denaro

di Alberto Galvi

La maggioranza del collegio di cinque giudici della Corte suprema dell’India ha confermato la legalità della decisione del governo del 2016 di demonetizzare l’86 per cento del denaro in circolazione nel paese, affermando che l’iniziativa è stata presa in consultazione con la banca centrale, e a seguito del giusto processo. La Corte suprema aveva chiesto il 7 dicembre scorso al governo Modi e alla banca centrale di produrre tutti i documenti rilevanti relativi alla decisione del governo.
La demonetizzazione è stata messa in dubbio da una serie di petizioni, i cui firmatari sono avvocati, un partito politico, banche cooperative e privati. L’ex ministro delle Finanze indiano P. Chidambaram è stato tra gli avvocati che si sono opposti alla misura di divieto delle banconote. Uno dei cinque giudici, che ha scritto un’opinione dissenziente, ha detto che il divieto di valuta avrebbe potuto essere attuato attraverso un atto del Parlamento, non dal governo.
La demonetizzazione ha danneggiato gravemente l’economia dipendente dal contante dell’India, in quanto ha causato perdite per le piccole imprese, che non sono state in grado di conformarsi alla nuova legge e hanno chiuso, provocando una crisi economica e mesi di caos finanziario per gli indiani ordinari e dipendenti dal contante.
L’India ha inoltre perso 3,5 milioni di posti di lavoro nell’anno successivo alla demonetizzazione. Nel momento in cui i contanti si esaurivano, centinaia di migliaia di persone facevano la fila fuori dalle banche e dai bancomat per giorni per scambiare i loro risparmi in contanti con moneta a corso legale. Il governo alla fine ha rilasciato nuove banconote del valore di 500 e 2mila rupie.
Da quando il premier Modi ha inquadrato la decisione di demonetizzare l’86 per cento del denaro come una lotta per i poveri contro i ricchi corrotti, molte persone, nonostante il caos causato, hanno sostenuto la demonetizzazione.