di Giuseppe Gagliano –
La Cina, con la sua strategia definita “illegale, coercitiva, aggressiva e ingannevole”, continua a rappresentare una sfida per l’India. Nonostante i recenti tentativi di distensione tra i due Paesi, le azioni unilaterali di Pechino mettono a rischio la fragile ripresa dei rapporti bilaterali.
Ad ottobre 2024 India e Cina avevano raggiunto un accordo per la de-escalation lungo la Linea di Controllo Effettivo (LAC) e la ripresa delle pattuglie nelle aree contese di Depsang e Demchok. Tuttavia la speranza di un avvicinamento è stata incrinata dalle mosse cinesi, come la creazione di due nuove contee nella prefettura di Hotan, Xinjiang, che includono porzioni del territorio dell’Unione del Ladakh. Una decisione unilaterale che New Delhi ha immediatamente contestato, sottolineando la sua opposizione all’occupazione illegale del territorio indiano da parte di Pechino.
La strategia cinese non è nuova: la manipolazione dei confini e l’uso di “narrative false” caratterizzano il suo modus operandi anche in altre dispute territoriali, come quella con le Filippine nel Mar Cinese Meridionale. L’obiettivo è sempre lo stesso: creare confusione e vantaggi unilaterali, mascherati da accordi impliciti o concessioni reciproche inesistenti.
Un altro punto di tensione è rappresentato dai progetti cinesi sulle risorse idriche. Pechino ha dato il via libera alla costruzione del più grande impianto idroelettrico del mondo sul fiume Yaluzangbu, nel Tibet, con una capacità tripla rispetto alla Diga delle Tre Gole. L’India ha espresso preoccupazioni per l’impatto ecologico e per la mancanza di trasparenza nei confronti degli Stati a valle, in particolare per le implicazioni sul fiume Brahmaputra.
Non è la prima volta che la Cina utilizza le risorse idriche come leva geopolitica. Durante la crisi del Doklam nel 2017, Pechino ha interrotto la condivisione dei dati idrologici essenziali con l’India, dimostrando come l’acqua possa diventare uno strumento di pressione strategica.
Pechino si presenta come leader globale nella lotta al cambiamento climatico, con l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060. Tuttavia le sue azioni raccontano una storia diversa. La costruzione dell’impianto idroelettrico sullo Yaluzangbu solleva interrogativi sulla sostenibilità ambientale e sulla sicurezza in una regione sismicamente vulnerabile. Recenti terremoti in Tibet hanno accentuato queste preoccupazioni, mentre l’India accusa la Cina di ignorare l’equità nella gestione delle risorse naturali condivise.
Il ministro della Difesa indiano Rajnath Singh ha recentemente sollevato il dubbio che alcune catastrofi naturali nei territori di confine, come Ladakh e Uttarakhand, possano non essere del tutto “naturali”, suggerendo possibili interventi artificiali da parte di nazioni ostili.
Dopo l’incontro di ottobre 2024 tra il primo ministro indiano Narendra Modi e il presidente cinese Xi Jinping, si era sperato in un nuovo capitolo nei rapporti sino-indiani. Tuttavia le recenti mosse di Pechino mettono a rischio questi progressi. L’approccio cinese, definito “ICAD” (illegal, coercive, aggressive, deceptive), continua a rappresentare una sfida complessa per New Delhi, che dovrà affrontare un mix di tattiche non convenzionali e pressioni diplomatiche.
La normalizzazione delle relazioni tra India e Cina appare dunque sempre più come un miraggio, con Pechino che alterna promesse di cooperazione a mosse che minano la fiducia reciproca. Per l’India, sarà fondamentale mantenere alta l’attenzione, rafforzare le alleanze strategiche e contrastare le ambizioni di Pechino sia sul piano territoriale che su quello delle risorse.