India. Una legge sulla cittadinanza di matrice religiosa in un paese laico

di Alberto Galvi –

Gli indiani in questi giorni stanno protestando in molte città come Calcutta, Guwahati, Mumbai, Nuova Delhi, Chennai e Hyderabad contro una controversa legge sulla cittadinanza, il CAB (Citizenship Amendment Bill), che è stata approvata la scorsa settimana dalla camera alta del parlamento (Rajya Sabha) con 125 voti favorevoli e 105 contrari.
I partiti favorevoli sono gli alleati del BJP (Bharatiya Janata Party) come il JD(U) (Janata Dal (United)), AIADMK (All India Anna Dravida Munnetra Kazhagam), BJD (Biju Janata Dal), TDP (Telugu Desam Party), e YSR-Congress (Yuvajana Sramika Rythu Congress Party). Il giorno prima, i legislatori hanno approvato il disegno di legge con 311 voti a favore e 80 contrari nella camera bassa del parlamento (Lok Sabha). In questa camera il BJP ha la maggioranza dei voti senza bisogno di alleati per approvare le leggi.
Il CAB si applica agli immigrati dai vicini Afghanistan, Pakistan e Bangladesh che sono indù, cristiani, sikh, giainisti, zoroastriani o buddisti. I partiti dell’opposizione sostengono che la legge sia discriminatoria in quanto non tutela la minoranza islamica che è arrivata ​​in India prima del 31 dicembre 2014 da questi paesi.
Intanto il partito islamico UML (Union Muslim League) ha contestato la legge alla Corte suprema, sostenendo che viola gli articoli sull’uguaglianza e sui diritti fondamentali.
In risposta la Corte federale ha chiesto al governo di rispondere a una serie di ricorsi volti a modificare la legge sulla cittadinanza del 1955, che non fa riferimento all’affiliazione religiosa come base per la cittadinanza e a fermare l’attuazione della nuova legge.
In India ci sono 200 milioni di musulmani che temono che la legislazione faccia parte dell’agenda del governo nazionalista indù del partito BJP (Bharatiya Janata Party) per emarginarli. Queste norme sono infatti discriminatorie anche per altre minoranze perseguitate immigrate nel paese, come gli indù tamil dallo Sri Lanka, i musulmani rohingya dal Myanmar o i musulmani uiguri dalla Cina.
Il governo Modi afferma che il disegno di legge mira invece a soccorrere le persone che sono state perseguitate nelle loro terre d’origine a causa delle loro identità religiose con lo scopo di affrontare la persecuzione di minoranze come indù, sikh e cristiani nei paesi a maggioranza musulmana di Pakistan, Afghanistan e Bangladesh. Molte di queste persone sono fuggite in India per cercare rifugio e hanno infatti poi continuato a rimanerci anche se i loro permessi sono scaduti.
In questi giorni la legge appena approvata è stata ampiamente criticata per il tentativo di trasformare la religione in un criterio di ammissibilità per la cittadinanza indiana, un atto che altererebbe la laicità dello stato indiano e soprattutto la costituzione, che garantisce l’uguaglianza davanti alla legge e la non discriminazione per motivi religiosi.
In India, la libertà religiosa è un diritto fondamentale garantito dagli articoli da 25 a 28 della Costituzione; sebbene il paese sia prevalentemente indù, è il luogo di nascita anche di altre 3 principali religioni: Buddismo, Giainismo e Sikhismo, senza contare la presenza di minoranze importanti come quella musulmana cristiana e zoroastriana.
L’idea del secolarismo in India non è emersa all’improvviso. Con l’indipendenza nel 1947 dal Regno Unito, India e Pakistan si sono divise, mentre quest’ultimo ha scelto di diventare uno stato islamico, l’India ha infatti imboccato la via della laicità.