Intelligence economica e guerra ucraino-russa

di Massimo Ortolani –

Nonostante il conflitto appaia destinato a durare nel tempo, sul piano dell’intelligence economica è possibile definirne a grandi linee la prefigurazione degli impatti di breve-medio termine sul piano geo-economico (1) e geopolitico. Per quanto concerne il nostro paese, il rapporto sulla Stabilità Finanziaria n. 1/2022 di B.I., nel segnalare come il primo trimestre si sia chiuso con una crescita negativa del PIL a fronte di una inflazione in forte crescita, rileva anche che “Le previsioni sull’andamento del Pil per l’anno in corso sono in diminuzione di oltre 1,5 punti percentuali rispetto a quanto atteso prima dell’inizio del conflitto“. (…) “Il contesto macroeconomico si riflette anche sulle condizioni del ciclo finanziario; nostre proiezioni, coerenti con gli scenari più recenti, indicano che lo scostamento dal trend di lungo periodo del rapporto tra credito totale e prodotto (credit-to-GDP gap), già negativo nel quarto trimestre del 2021, rimarrà ampiamente negativo anche nel corso del 2022”. Se a ciò si aggiunge che, dall’esame delle componenti del Pil, emerge come la spinta sia derivata dalla domanda nazionale – con consumi interni sui quali pende la spada di Damocle dell’impatto inflazionistico – si genera un duplice compito per l’Intelligence economica, quello di gestire al meglio il trade-off tra inflazione e produzione. Una gestione di estrema complessità, in un contesto dominato dall’incertezza sulle evoluzioni del conflitto e soprattutto sulla sua durata. Ma resa di ancora più difficile prevedibilità dalle implicazioni macroeconomiche delle spese collegate al PNRR che, se da una parte comportano una inevitabile lievitazione del debito pubblico, dall’altra appaiono un imprescindibile fattore di spinta all’aumento del Pil.
Inoltre non è solo una questione di Pil sul piano della politica economica, ma di rimodulate priorità di raggiungimento degli obiettivi dell’interesse nazionale, come quello della sicurezza che ora deve salire molto di posizione. Dunque una fase di temporanea alta inflazione nella quale è obbligatorio evitarne la cronicizzazione rispondendo con misure di contrasto all’indebolimento economico. In tal senso aiutati ancora una volta dalla Ue, chiamata a definire i criteri per l’indennizzo per i danni economici alle imprese dei paesi membri maggiormente esposti ad un lungo elenco di fattori a negativo impatto economico. Dall’incremento dei prezzi delle materie prime energetiche, ai divieti sanzionatori od alle impossibilità materiali di import-export (talora connesse anche con gli sconvolgimenti logistici: chiusura della rotta del Mar Nero e svantaggi strutturali del trasporto via treno), nonché alle difficoltà del reperimento di garanzie bancarie verso importatori russi, come nel rilascio delle controgaranzie per gli anticipi incassati. Ma anche e soprattutto alle contro-sanzioni ed ai rischi di contraffazione connessi alla legalizzazione delle importazioni parallele in Russia, ai ben più preoccupanti rischi di esproprio o nazionalizzazione degli asset non più produttivi in territorio russo, o alle incognite di chi ha abbandonato anche solo temporaneamente quel mercato. Tenendo peraltro presente che, in relazione alla competitività complessiva del nostro sistema economico, peserà il diverso impatto relativo di tale mix di fattori rispetto ai nostri principali paesi competitor.
Appare comunque del tutto prematuro pensare di stimarne gli effetti strutturali sulla produttività di specifici nostri sottosettori: si considerino ad esempio il ricorso alle triangolazioni esportative e il comportamento dei competitor non italiani sul territorio russo, anch’essi vittime di tale situazione. Senza dimenticare, infine, che tale peculiare contesto operativo ha dato origine anche a fenomeni di trade-off. Nel comparto dell’acciaio, in particolare, in cui il gap tra produzione e capacità installata ha consentito di mitigare la riduzione d’offerta connessa al blocco dell’import dall’Ucraina. Mentre in altri comparti, come quello della raffinazione petrolifera, tanto in Italia che in altri paesi UE, si richiede di salvare con azioni di Golden Power strategico grandi impianti totalmente dipendenti o controllati da fornitori russi.

– Per la Ue.
Per Bruxelles, prima del conflitto la priorità era il clima, ora invece da coniugare con la sicurezza nazionale e la convenienza economica. Tanto che la Commissione a breve renderà note le linee guida per l’utilizzo dei fondi Next Generational che consentiranno ad ogni paese membro di adattare il proprio PNRR alle mutate esigenze di approvvigionamento energetico e di contesto bellico. Mentre, sul piano dell’Intelligence Economica, la Commissione dovrà ora ripensare anche il supporto alle filiere di approvvigionamento, per potere evitare la penuria di componenti di base e semilavorati e la dipendenza da fattori geostrategici, e non solo economici. Da cui le ipotesi di bloccare l’export di prodotti di base della Ue, ovvero di aumentare gli investimenti per avere capacità produttive utilizzabili in momenti critici. Ma anche di incentivare il riuso dei prodotti nell’ottica del risparmio, opposta a quella di un consumismo nemico della salvaguardia ambientale.
Anche se il focus geopolitico e geo-economico di maggiore rilevanza per Bruxelles dovrà comunque rimanere concentrato su durata e composizione del pacchetto sanzioni. Non potendosi escludere, infatti, che Kiev chieda di poterle inserire tra i punti di un futuro negoziato con Mosca. Mentre gli USA ed altri nazioni certamente non lo consentirebbero.
Un tema, dunque, molto complesso e divisivo quello delle sanzioni, che ha visto sin dall’inizio Stati membri Ue dissidenti, e malumori diffusi per la loro applicazione. A cominciare dall’Ungheria di Orban, paese contro il quale sarà a breve avviato il meccanismo di condizionalità, sospendendogli l’erogazione dei fondi strutturali a seguito di ripetute violazioni dello stato di diritto. Nella definizione del sesto pacchetto sanzioni sul petrolio si dibatte ora su come procedere all’interruzione dell’import di petrolio, dopo il gas. Una tematica di intelligence economica che acuisce pertanto l’esigenza di una rimodellazione della Ue verso un federalismo pragmatico che possa comunque garantire nel tempo una compatta risposta istituzionale (autonomia strategica) nella difesa da aggressioni e ricatti. Compreso in primis quello energetico attuale.
Mentre, sul piano della macroeconomia dell’Eurozona, la “spinta istituzionale” aggiuntiva generata dagli effetti bellici potrebbe anche accelerare il raggiungimento di una prospettiva politica sostenuta ancora da quello spirito di cooperazione sotteso al PNRR. Consentendo una augurabile riformulazione del patto di stabilità, di maggiore vantaggio relativo per paesi ad elevato rapporto debito/PIL come il nostro; e in ogni caso non più pro-ciclico come quello attuale.

– Per la Russia.
Se questo sanguinoso conflitto non dovesse terminare a breve, a fronte delle numerose migliaia di soldati russi morti e di un’incombente stagflazione, la controffensiva culturale di Putin dovrà riuscire a convincere ancora una volta l’opinione pubblica che il costo delle sanzioni, come già in passato, è il prezzo da pagare per il buon esito di questo progetto bellico, a difesa della sopravvivenza della Russia. Dato che il vero obiettivo mediatico di Putin dovrà ancora coincidere con l’intento di surrogare, con la nozione di guerra totale all’occidente, il ben noto mito della prosperità occidentale, irraggiungibile per il ceto medio russo. Prosperità alla quale preferire concetti di purezza etnica e di valori etici da preferire a quelli riconducibili ad una cittadinanza occidentale appagata unicamente da libertà di espressione, e dalla speranza di una convivenza economicamente soddisfacente.
Quanto agli impatti delle sanzioni sull’economia russa, è vero che da anni Mosca mira a crearsi un sistema economico (e verosimilmente anche valutario) indipendente e resiliente ad esse. Ma poiché quasi ogni prodotto realizzato in Russia è dipendente dai componenti importate dall’estero, finite le scorte l’impatto pesante si avrà quando le aziende dovranno cominciare a produrle da sé o a modificare le loro catene di approvvigionamento. Mentre, sul piano finanziario, l’improvvisa necessità di aumentare il tasso di interesse al 20% per evitare una subitaneo crollo del rublo aveva evidenziato delle crepe non facilmente colmabili con misure di natura amministrativa.
La governatrice della Banca centrale russa, ben consapevole dei limiti e vincoli che la teoria economica al riguardo presenta (ad es. il trilemma di R Mundell), ha infatti dovuto riabbassarli poco dopo al 14%, ed anche consentire il contestuale ricorso, da parte delle PMI russe, a prestiti a tasso fortemente agevolato, a valere su risorse statali. Ciononostante le sanzioni stanno comunque mettendo sotto pressione il capitale di tre primarie banche russe, erodendolo da settimane. Una scelta, quella della riduzione dei tassi, che in un periodo non bellico avrebbe significato incentivare l’inflazione e svalutazione, ma che in questo momento mira invece ad agevolare la riconversione dell’economia russa a nuovi modelli di business, meno dipendenti dal monopolio statale della vendita di risorse energetiche. Tutto ciò in presenza di un tasso di inflazione superiore al 17% annuo.

-Sul piano delle relazioni geoeconomiche e geopolitiche.
Il primo e fondamentale insegnamento che se ne può trarre è che, per la tipicità del conflitto, alla definizione di guerra per procura, andrebbe preferita quella di guerra ibrida totale. L’effetto delle sanzioni, infatti, riconduce ad un unicum bellico tanto la guerra calda che la guerra fredda economica in atto (2). Ma, ciò che è più importante sottolineare è che le ritorsioni connesse alle sanzioni, se da una parte spostano la visuale analitica dall’ambito territoriale, tipico della geopolitica, a quello globalistico e geostrategico proprio della geo-economia, dall’altra tracciano anche un solco profondo tra reti commerciali che la globalizzazione aveva sinora intrecciato, quello dei paesi occidentali a tradizione democratica e quello dei paesi euroasiatici a tradizione autarchica o a democrazia illiberale. Basti pensare all’arretramento sul piano dei diritto effettuato da Mosca che, per ritorsione, sta di fatto facilitando la diffusione della contraffazione sul suo territorio, legalizzando le importazioni parallele; oltre ad attuare nazionalizzazioni fulminee, come quella per 1 rublo della casa automobilistica Avtovaz, del gruppo Renault (3).
Inoltre l’esito della votazione in sede ONU in relazione all’aggressione russa all’Ucraina ha definito lo spartiacque geopolitico destinato a connotare le relazioni internazionali per parecchi anni a venire. E il fatto che i 35 paesi contrari, unitamente ai 5 astenuti sui 193 votanti, comprendono più della metà della popolazione mondiale giustifica il tentativo della presidente Ursula von der Leyen nell’esortare l’India a sostenere gli sforzi dell’occidente contro l’invasione russa dell’Ucraina.
Le implicazioni di tale spartiacque si faranno evidenti a breve. Se infatti la geopolitica sino ad oggi interferiva solo episodicamente e comunque temporaneamente sulla direzioni dei flussi commerciali e d’investimento (anche finanziario) a livello planetario, d’ora innanzi le aree di interesse per il business dovranno tenere invece conto per tempi molto più lunghi dei riflessi sul piano geo-economico dell’approfondito solco tra nazioni amiche ed avversarie. In un contesto nel quale saranno sempre di più i governi a definire le politiche commerciali, sia sulla base di indicazioni di “non gradimento”, sia in relazione al comportamento tenuto verso la nazione target o suoi alleati. Va da se che l’export di materie prime alimentari da parte della Russia e dell’Ucraina sarà inevitabilmente influenzato da criteri opposti sul piano dell’interesse nazionale, dettati in relazione a chi ha applicato sanzioni a Mosca, ovvero inviato armi a Kiev. Un contesto, quindi, di guerra fredda totale, fondata sull’applicazione di misure tipiche dell’Economic e del Financial Warfare, come confermato anche dai tentativi di guerra valutaria; volti contestualmente a ridurre l’impatto delle sanzioni dirette sulla Russia, ed a fortificare la penetrazione di rublo e yuan cinese (4) come valute alternative al dollaro anche oltre gli ambiti delle sole relazioni governo-governo o connesse all’acquisto di petrolio e gas.

Note:
1 – “La geoeconomia, o l’applicazione della politica di potere con mezzi economici, è una competizione condotta attraverso il commercio globale e gli investimenti piuttosto che su un campo di battaglia tradizionale. I paesi hanno partecipato sempre di più a questa forma di intervento economico attivo applicando sanzioni, controlli delle esportazioni e sussidi, sviluppando meccanismi di controllo degli investimenti e misure di localizzazione dei dati. In generale, c’è una crescente preoccupazione per i rischi di sicurezza posti dall’interdipendenza economica in termini di sovranità e resilienza economica. Questa convergenza di pensiero economico e di sicurezza sta mettendo sotto pressione le norme e le regole che hanno governato l’economia globale per decenni” Fonte: Strategic Intelligence (weforum.org)
2 – In una guerra tutti sperano di vincere pagando il costo meno alto possibile. E le sanzioni servono anche e soprattutto ad aumentare tale costo. Poiché Von Clausewitz definiva folle è colui il cui fine politico supera il potere strategico, e pazzo chi consente di effettuare sforzi superiori a quelli ragionevolmente commisurati con i suoi fini.
3 – La risolutezza del comportamento di Mosca in una ritorsione ad ampio spettro alle sanzioni ricevute, appare certamente in linea con il profilo caratteriale e psicologico di Putin, e forse anche con una sua incontrastata visione narcisistica del potere. Condizione che gli giova, in un contesto culturale tradizionalmente attratto dal culto della personalità. Ciò premesso, è però lecito chiedersi anche se le azioni di supporto strategico suggerite ed attuate da intelligence estere in Ucraina – e precedentemente in Georgia nel corso degli ultimi 20 anni – siano state adeguatamente valutate anche al fine di non essere interpretate come una minaccia alla Russia.
4 – Per quanto concerne lo yuan, la sua guerra valutaria al dominio del dollaro si rivelerà comunque un compito difficile, e da dilazionare nel tempo. Dato che il dominio di una valuta negli scambi internazionali, e come riserva delle banche centrali, risiede in primo luogo sulla fiducia nella potenza non solo dell’economia, dei mercati finanziari e delle capacità militari di uno stato. Ma anche e soprattutto sulla stabilità nel tempo di politiche monetarie e finanziarie che rispettino standard comportamentali tipici delle democrazie liberali e non quelle di paesi autocratici, visibilmente disposti – in tema di trattamento dei capitali – all’applicazione di politiche tanto erratiche ed improvvise quanto rischiose.