“Io contro al-Assad”. Intervista ad Abou Zied, combattente tunisino in Siria

di Saber Yakoubi –

Le Citta – Non sembra trovare soluzione la crisi della Siria, precipitata ormai in un vortice di sangue che porta a quasi 30.000 il macabro conteggio delle vittime ed a quasi due milioni la massa di profughi che va allo sbando nel paese mediorientale.
Purtroppo, come già spiegato sulle pagine de Le Città, gli interessi internazionali la fanno da padrone ed una serie di veti incrociati, in particolare della Russia e della Cina, impediscono l’intervento della Comunità internazionale sul modello adottato in Libia, che ha portato nell’ottobre 2011 alla caduta di Muammar Gheddafi.
La diplomazia internazionale non ha portato fino ad oggi ad alcun risultato, tanto che il primo incaricato dell’Onu e della Lega Araba, Kofi Annan, si è visto costretto a gettare la spugna; al suo posto è subentrato l’algerino Lakhdar Brahimi, il quale ha cominciato in questi giorni al Cairo un primo giro di colloqui.
Fin dall’inizio degli scontri sono giunti in Siria combattenti di ogni parte del mondo arabo e non solo, chi motivato da spirito religioso, chi semplicemente per tentare di mettere un freno agli eccidi di cui si sta macchiando il presidente Bashar al-Assad.
Gli scontri in Siria stanno assumendo, nella loro drammaticità, peculiarità inedite: tradizionalmente la guerra comporta un confronto bellico tra due eserciti regolari ed organizzati, con mezzi, truppe, aerei e navi di ogni tipo, ma negli ultimi anni questo concetto è venuto un po’ meno, tanto che il campo di battaglia è arrivato ad essere alla portata di tutti; inoltre nel mondo arabo-islamico accade spesso che si perdano le tracce di individui che poi risultano caduti in lontani teatri di battaglia, come quelli dell’Afghanistan o dell’Iraq, o che si danno rinchiusi dietro le reti di Guantanamo o di qualche altro postaccio nel mondo. Altri si sono uniti alla resistenza siriana: si tratta sicuramente di individui con le loro convinzioni e le loro motivazioni seppure dissimili da quelle di noi occidentali, ma che poco hanno a che fare con l’eroismo o con l’avventura. 
Notizie Geopolitiche ha potuto intervistare Abou Zied, un uomo tunisino, poco più che un ragazzo, impegnato nella lotta al regime di Bshar al-Assad, il quale ha accettato di raccontare via telefono da Aleppo la propria esperienza.
“Quattro mesi fa mi sono recato in Turchia – spiega – e dalla città di Gaziantep mi sono diretto verso Aleppo, aiutato dall’organizzazione dell’Esercito Libero, il quale ha canali per gestire i volontari che arrivano, raccogliere fondi ed armi”.
– Come funzionano questi “canali”?
“Ad Aleppo manca di tutto e proprio pochi giorni fa i soldati lealisti hanno persino fatto saltare gli acquedotti per costringere la popolazione ad uscire dai rifugi, mentre dall’alto piovevano le bombe. Gli aiuti sono insufficienti, ma arrivano comunque medicinali e generi di prima necessità. Il denaro inviato, invece, va all’organizzazione, che lo utilizza per l’acquisto di armi… persino dall’esercito regolare, che è stracolmo di funzionari e di militari corrotti”.
– Tuttavia si parla di armi che arrivano in particolare dalla Turchia, dal Qatar e dall’Arabia Saudita…
“Il capo dell’Esercito Libero, Riad al-Asaad, si trova in Turchia, ma non tutti lo riconoscono come tale. Ad esempio, la brigata al-Tawhid di cui faccio parte non si rifà alla sua leadership. Dalla Turchia quindi transitano armi, ma va detto che in questo periodo il mercato è fiorente ed i confini, tutti i confini, sono lunghi migliaia di chilometri… poi la gente parla di libertà e di democrazia, ma in realtà tutto ha un prezzo e qui quello che conta è il costo delle armi”.
– Come si svolge la battaglia di Aleppo?
“L’esercito di al-Assad si è dato persino ai saccheggi ed al furto, uccide senza troppi scrupoli coloro che considera infedeli al regime; non ha risparmiato neppure i luoghi di culto come le moschee ed i siti archeologici. Io stesso ho potuto assistere al bombardamento dell’antica cittadella di Aleppo: alcuni che combattevano con noi hanno detto che a pilotare gli aerei che bombardavano le antichità non potevano di certo essere siriani, tanto sembra impossibile l’accanimento contro la storia e la cultura di questa terra”.
– Lei è tunisino: cosa unisce nella lotta al regime combattenti di diverse nazionalità, oltre alla fede religiosa?
“No, le cose non stanno così: nelle nostre fila ci sono combattenti siriani di fede cristiana ed anche non credenti. Poi, è vero: ci sono sauditi, yemeniti, libici, egiziani ed anche iracheni ed afgani che militano con al-Qaeda. La cosa fa impressione, ma noi siamo determinati a vincere contro gli scagnozzi di questo regime ingiusto e crudele, che ammazza donne e bambini senza pietà”.
– Kofi Annan ha ammesso il suo fallimento nel campo diplomatico e si è ritirato, ma presto arriverà in Siria il nuovo inviato dell’Onu e della Lega Araba, Lakhdar Brahimi: voi combattenti come avete accolto la novità?
“Per noi è difficile comprendere il ruolo delle Nazioni Unite e della lega Araba nella crisi siriana… sembrano influenzabili, cioè una proprietà privata in mano a qualcuno le cui decisioni coraggiose rimangono sulla carta a causa del vetusto meccanismo del veto al Consiglio di Sicurezza che possono esercitare Russia e Cina”.
– Ci sono militari occidentali che combattono nelle vostre file?
“Personalmente non ne ho mai visti, ma ne ho sentito spesso parlare. Noi oggi controlliamo l’80% della città di Aleppo e più che i militari, vediamo arrivare i giornalisti occidentali, che aiutiamo ad entrare per testimoniare gli orrori ed i crimini del regime di al-Aassad”.
– Finita, si spera presto, questa guerra, dove potremo incontrarLa?
“Conforme la necessità: quando gli innocenti muoiono e regna l’ipocrisia, qualcuno deve pur muoversi, anche senza farsi troppi scrupoli ad imbracciare un fucile. Ed io sono uno di questi”.

Foto: Reuters – Zain Karam