Iran. Ancora proteste: il popolo non ha lavoro, ma gli ayatollah continuano a finanziare gruppi all’estero

di Shorsh Surme

Di nuovo migliaia di iraniani sono scesi in strada nelle principali città del paese tra cui la capitale Teheran, ma anche ad Asfahan e Resht, per chiedere pane e lavoro.
Ormai la disoccupazione giovanile nella Repubblica Islamica è alle stelle. Le ragioni della protesta sono le stesse delle proteste anti-regime avvenute tra il dicembre 2017 e i primi mesi di quest’anno ed indicano la drammatica situazione economica del paese. La moneta iraniana, il toman, sta diventando carta straccia, ed il 29 luglio ha toccato un nuovo minimo storico quando gli investitori hanno iniziato a temere il potenziale impatto delle sanzioni statunitensi.
I manifestanti e gli attivisti sono infuriati per il costo delle operazioni che gli ayatollah hanno nelle aree di crisi estere, ovvero in Siria, Iraq, Gaza e nello Yeman, e chiedono che queste risorse vengano impegnate per il risanamento della finanza pubblica.
Il professor Majid Rafizadeh, esperto di affari iraniani e studioso ad Harvard, in un’intervista ha detto che la causa delle crisi economiche dell’Iran sono da ricercare nel vertice del governo, ed ha aggiunto che “La corruzione finanziaria del regime iraniano, l’uso improprio dei fondi pubblici, la diffusa crisi bancaria e l’emorragia di miliardi di dollari che piovono su milizie e gruppi terroristici sono tra le principali ragioni alla base dell’attuale crisi valutaria ed economica”.
Ed ha ragione: sono ormai 40 anni che il regime degli ayatollah continuano a reprimere i popoli dell’Iran, investendo i soldi del popolo nel finanziamento di gruppi di ogni ordine e grado sparsi per il mondo in nome dell’Islam sciita.