Iran. Vittoria del moderato-riformista Hassan Rohani. Che ora userà la sua “chiave”

di Enrico Oliari –

rohani grandePotrebbe essere una rivoluzione il risultato delle elezioni in Iran. Una Primavera Araba senza spargimenti di sangue e senza “no fly-zone”, un esempio per molti paesi che non hanno creduto o che ancora non credono nella democrazia.
Hassan Rohani ha vinto, senza se e senza ma. Al primo turno, con un 50,68% dei voti, pari a 18,6 milioni di schede, che resterà lì, statuario per anni: si è trattato dell’unico candidato moderato-riformista dei sei che si sono presentati, dal momento che gli altri cinque appartenevano all’area del clero conservatore: secondo è arrivato Mohammad Bagher Qalibaf (15,83%, 51 anni, sindaco di Teheran e già comandante delle Guardie rivoluzionarie ai tempi della guerra con l’Iraq e capo della Polizia del paese), poi Saeed Jalili (11,46%, capo del Consiglio per la Sicurezza nazionale), Mohsen Rezai (11,34%, già comandante dei pasdaran, oggi segretario del Consiglio per il Discernimento e accusato dall’Argentina di essere coinvolto nella strage del 1994 al Centro culturale ebraico di Buenos Aires, 81 morti), Ali Akbar Velayati (6,6%, membro del Consiglio per il Discernimento e consigliere Esteri della Guida spirituali Alì Khamanei) e Mohammad Gharazi (1,18%, già ministro per il Petrolio).
La gente comune, quella costretta al caro vita ed alle lunghe code davanti ai panifici per via dell’embargo, quella a cui della lontana Palestina non interessa nulla e men che meno la ricerca sul nucleare in un paese ricco di petrolio e di gas, quella stanca di una teocrazia autoreferenziale che manda in carcere gli oppositori e costringe i dissidenti ad autoesiliarsi, si è riversata nelle piazze, in un’esplosione di gioia senza precedenti, stretta attorno alla speranza per un futuro migliore incarnata da un moderato-riformista. Perché è di questo che l’Iran di oggi ha bisogno: di riforme.
Sostenuto dall’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani, il 64enne e membro del clero Hassan Rohani è stato da giovane studente presso l’Università coranica di Qom. Quindi di Giurispudenza presso l’Università di Teheran e poi all’estero, presso la Glasgow Caledonian University, dove ha conseguito un master in affari legali.
Dopo la Rivoluzione del 1979 è stato incaricato di riorganizzare l’esercito del paese e di supervisionare la televisione di Stato.
Nel 2003 si è occupato di nucleare, ovvero della mediazione con le Nazioni Unite, iniziativa alla quale è seguita una sospensione della ricerca sull’arricchimento dell’uranio, fatto a cui si è opposto Mahmoud Ahmadinejad.
Si è distinto in seguito per i suoi interventi a favore di “un’interazione costruttiva con il mondo”, volta a stabilire relazioni positive o quanto meno tranquille con l’Occidente.
Va detto comunque che il presidente dell’Iran non gode di piena libertà di manovra, in quanto le questioni più scottanti, come, appunto, la ricerca sul nucleare ed i rapporti con i paesi “nemici” sono di competenza della Guida religiosa e della Guardia della Rivoluzione.
Notizie Geopolitiche ne ha parlato con il giornalista Ehsan Soltani, attivista politico in opposizione con il regime degli ayatollah, il quale ci ha spiegato che “una consistente parte del popolo non voleva neppure recarsi alle urne, delusa dal fatto che nel 2009 era stata stabilita con un regolare voto l’elezione dell’ex premier, pittore ed architetto Mir-Hosein Musavi, salvo poi veder salire con un colpo di mano alla carica di presidente Mahmoud Ahmadinejad. Nelle ultime settimane c’è stato un forte impegno dei militanti riformisti per convincere la gente a votare, quale unico mezzo per arrivare ad un reale cambiamento, magari sfruttando i dissidi fra Khamenei ed Ahmadinejad. Il popolo moderato e riformista voleva come candidati gli ex presidenti Hashemi e Khatami, ma quest’ultimo non si è voluto candidare per dare il suo appoggio al primo; Alì Akbar Hashemi è stato tuttavia escluso dalla competizione elettorale, per cui ha indirizzato il suo elettorato verso Mohamamd Reza Aref, che si è a sua volta ritirato ed ha lasciato come unico candidato moderato-riformista in corsa Hassan Rohani”.
– Cosa significa essere “riformisti” in Iran?
Durante l’era Khatami la stampa era più libera, i dissidenti in carcere erano un’assoluta rarità, c’era un clima diverso; la presidenza Ahmadinejad, al contrario, si è tradotta con una netta restrizione delle libertà individuali e, al contrario del suo predecessore, in una miopia nella politica internazionale fatta di puro ideologismo, con continue ed inutili sfide al mondo.
Rohani in tv, durante la campagna elettorale, ha mostrato una chiave ed ha detto che con quella avrebbe aperto, in caso di vittoria, le carceri, che avrebbe spalancato le porte dell’Iran al mondo e quindi avrebbe inaugurato un nuovo percorso di relazioni internazionali volto a porre fine alle restrizioni economiche: ha promesso che il suo sarà il governo della speranza e della prudenza. Ed anche ha espresso l’intenzione di creare un comitato giuridico per permettere ai moltissimi iraniani dissidenti fuggiti all’estero di rientrare”.
– Le elezioni di oggi sono state caratterizzate dall’esclusione di candidati e da continui colpi di scena: è stata una partita fra conservatori e riformisti o c’è stato qualcos’altro?
Saeed Jalili in particolare aveva promesso in campagna elettorale che in caso di vittoria avrebbe affidato il paese ad una rigorosa osservanza della Sharia, la legge islamica, tant’è che in occasione dei suoi interventi le donne sedevano separate dagli uomini, in una sala diversa; aveva promesso la resistenza ad oltranza nei confronti dell’Occidente e di sviluppare gruppi islamici radicali nei paesi arabi.
Mohammad Bagher Qalibaf, anche lui conservatore ed in realtà candidato delle Guardie rivoluzionarie (pasdaran), ha posto l’accento sullo sviluppo del paese, sulle costruzioni, cercando di passare per un tecnocrate e di distogliere l’attenzione dal problema politico, che invece in Iran è centrale e molto sentito dalla popolazione.
La competizione elettorale ha quindi visto la concorrenza di tre anime della politica iraniana, ovvero i riformisti, gli islamico-radicali ed i militari, ma se uno chiede al popolo se vuole o meno la guerra con l’Occidente, se vuole o meno i propri famigliari in carcere solo perché dissidenti, se vuole o meno le lunghe code davanti ai negozi di alimentari… beh, la risposta mi sembra ovvia”.
– Comunque il muovo presidente sulla sua strada si troverà Alì Khamanei, la Guida spirituale, che in realtà comanda nella Repubblica islamica dell’Iran…
L’idea di Rohani è quella di arrivare ad una sorta di pace nazionale attraverso l’unità della classe politica: secondo il suo pensiero, il dialogo con le opposizioni e con gli oppositori è indispensabile per ricostruire l’economia e ridare credibilità interna ed esterna alla classe dirigente del paese. Io penso, in base all’impostazione che Rohani ha fino ad oggi dimostrato, che cercherà anche di avere un rapporto di reciproco rispetto con Khamenei, senza però la sudditanza che fino ad un certo momento del suo mandato ha dimostrato Ahmadinejad. Rohani potrebbe addirittura arrivare ad un depotenziamento dell’autorità della Guida spirituale, ad esempio diminuendo il peso nel settore economico delle Guardie della Rivoluzione e del clero, di cui lo stesso Rohani fa parte, nella vita civile”.
– Che speranze ripone Lei, in quanto oppositore politico costretto a rifugiarsi all’estero, in Rohani?
Io vorrei tanto che mantenesse la promessa di aprire con la sua chiave le porte delle carceri: io ho diversi amici e conoscenti che al momento sono agli arresti, anche in condizioni disumane, come nel caso del giovane blogger Hossein Ronaghi-Maleki, incarcerato nella prigione di Evin con il fratello Hassan nel 2009 a seguito delle proteste post-elettorali e per questo condannato a 15 anni di reclusione; in prigione ha contratto una grave infezione ad un rene, che poi ha perso poiché gli è stato impedito di accedere alle cure sanitarie se prima non avesse reso pubblica confessione in tv.
Un altro mio conoscente è Mehdi Khazali, vittima di una retata seguita all’arresto di coloro che avevano partecipato ad una riunione dell’embrione del Partito Liberale, gruppo conosciuto come ‘Amici della penna’, lo scorso 8 novembre: anche lui è fortemente debilitato per il lungo sciopero della fame. O ancora Majid Tavakoli, premio Studenti per la Pace 2013, in carcere dal 2009.
Ed ovviamente apprezzerei molto la possibilità per me e per i molti rifugiati politici di poter rientrare in Iran e di riabbracciare le nostre famiglie”.