Iran. Il “Sistema Shamkhani” aggira le sanzioni occidentali sul petrolio

di Giuseppe Gagliano

Dietro le sanzioni, i blocchi navali e le campagne di “massima pressione”, c’è un mondo parallelo che continua a muovere miliardi. È il caso del cosiddetto “gruppo Shamkhani”, una rete internazionale di società di shipping e trading che, grazie ai legami familiari con Ali Shamkhani ,figura di spicco della politica iraniana e consigliere della Guida suprema Khamenei, gestisce un vero e proprio impero dell’energia e del commercio.
L’obiettivo è semplice: trasformare il petrolio e il gas iraniani (e sempre più spesso anche quelli russi) in liquidità, aggirando l’embargo occidentale e garantendo entrate fresche al regime. Ma l’ampiezza dell’operazione la rende qualcosa di più di un semplice schema di vendita parallela: parliamo di una filiera globale che va dai porti del Golfo Persico alle borse di Dubai, Singapore e Zurigo, capace di muovere decine di miliardi di dollari e di barattare greggio in cambio di componenti per droni, missili e sistemi d’arma diretti in Russia.
Il cuore dell’impero è Crios Shipping, con una “shadow fleet” di oltre 60 navi cisterna e container che compiono trasferimenti nave-a-nave per oscurare la provenienza del carico. Attorno a Crios ruotano decine di società di comodo: Admiral Group, ADM Logistics, Koban Shipping, Fractal Marine DMCC. Alcune registrate negli Emirati, altre in Paesi offshore come Marshall Islands e Seychelles, altre ancora in Europa orientale.
Il meccanismo è raffinato: le navi spengono i transponder, i documenti vengono falsificati, le proprietà delle società sono spostate di mese in mese per confondere le autorità. Gli utili vengono riciclati attraverso fondi come Ocean Leonid Investments, che investono in futures e derivati, dando l’apparenza di attività legittime.
La rete è planetaria: il 40% delle entità è basato a Dubai, snodo cruciale per il commercio del Golfo, ma compaiono indirizzi anche a Cipro, Romania, Turchia, India, Hong Kong, Panama. Alla testa, Hossein Shamkhani, conosciuto con gli alias “Hector” o “Hugo Hayek”, e il fratello Hassan. Accanto a loro un mosaico di intermediari: manager panamensi come Hector Varela de Leon, ex banchieri svizzeri, armatori indiani, broker turchi e consulenti occidentali che prestano nome e facciata “rispettabile” a società che in realtà rispondono a Teheran.
Per gli Stati Uniti e l’Europa il gruppo Shamkhani è diventato il bersaglio principale di una guerra economica che si gioca a colpi di sanzioni. A fine luglio 2025, l’OFAC ha colpito oltre 70 società e 50 navi, nel pacchetto più vasto dal 2018, seguito da misure coordinate di UE e Regno Unito. Ma la storia insegna che ogni volta che una nave o una società viene sanzionata, ne nasce un’altra con un nome nuovo.
Questa resilienza dimostra che il problema è per l’occidente strategico: la rete fornisce ossigeno finanziario all’Iran, sostiene lo sforzo bellico russo in Ucraina e crea un mercato parallelo del petrolio, minando la credibilità del regime sanzionatorio occidentale.
Il “sistema Shamkhani” rivela come Teheran stia progressivamente integrando la propria economia con quella russa e cinese, costruendo un blocco di resistenza alle sanzioni. Il rischio per l’Occidente è duplice: da un lato rafforzare l’asse Mosca-Teheran-Pechino, dall’altro spingere molti Paesi emergenti ad adottare modelli simili di commercio “grigio”, erodendo il potere deterrente delle sanzioni occidentali stesse.
Ogni pacchetto di sanzioni colpisce alcune navi, congela qualche conto, mette sulla lista nera nuovi nomi. Ma l’impressione è che il gruppo Shamkhani sia sempre un passo avanti, grazie a un mix di know-how finanziario, connessioni politiche e spregiudicatezza. Finché l’occidente non troverà strumenti globali di enforcement e cooperazione con hub come Dubai, Singapore e Hong Kong, questa gigantesca macchina continuerà a muovere petrolio, armi e denaro.