Iran. La gente ha scelto Pezeshkian perché vuole le riforme

di Dario Rivolta * –

Non è certo rassicurante né bello a sapersi, ma siamo tutti consci che da sempre e ovunque nel mondo ciò che i politici dicono non corrisponde necessariamente a ciò che fanno. In Medio Oriente le cose si fanno ancora più complicate perché in quelle zone le parole “sempre” e “mai” hanno pochissimo senso.
Un caso che qualche sottile storico del futuro potrà decidere di studiare nelle sue trasformazioni decennali è quello dell’Iran, la “Repubblica Islamica” per eccellenza. Si tratta di un Paese molto particolare nel suo sistema politico. Se intendiamo come “democratico” uno Stato dove i cittadini possono esercitare un libero (seppur parziale) diritto di voto, l’Iran lo è, poiché sono sempre stati gli elettori a scegliere apparentemente chi sarebbe potuto diventare il presidente dello Stato. Purtroppo da un lato i candidati ammessi alle elezioni sono scelti insindacabilmente da un organismo affatto trasparente sia nella sua composizione sia nei suoi criteri di valutazione; dall’altro il vero potere non appartiene né al Presidente eletto né al locale Parlamento. Infatti, istituzionalmente, la massima autorità politica risiede nella Guida Suprema, attualmente l’Ayatollah Alì Khamenei capo politico e religioso.
Anche il potere economico non è realmente nelle mani di chi si suppone potrebbe detenerlo, bensì soprattutto nel corso degli ultimi anni sta nelle mani di società e organismi controllati direttamente o indirettamente dalle Guardie Rivoluzionarie, una specie di esercito parallelo costituito durante la Rivoluzione Islamica a garanzia che l’orientamento religioso e morale (e politico) del Paese non potesse essere messo a rischio. Tuttavia, particolarmente nelle città ma anche sempre più nelle campagne, la popolazione non ne può più del regime clericale, delle regole da esso imposte, della corruzione e delle prepotenze dei suoi esponenti o delle organizzazioni che li fiancheggiano. Non è un caso che le manifestazioni di protesta originate da varie cause, non ultima l’assassinio in un carcere della curda Masha Amini rea di aver indossato il velo in modo improprio, hanno visto un numero sempre crescente di partecipanti. Il fatto che siano state soffocate nel sangue con brutalità ha potuto porre fine alle proteste ma non alle ragioni che le motivavano. Nelle penultime elezioni i conservatori più tradizionalisti avevano pensato di mantenere salde le leve del potere facendo candidare (e poi eleggere senza veri concorrenti) Ibrahim Raisi alla presidenza. Costui era un ultraconservatore inviso a una grande fetta della popolazione ma perfettamente organico al potere vigente, tanto è vero che si parlava di lui come del possibile successore allo stesso Khamenei, già molto avanzato nell’età. La sua morte avvenuta con la caduta dell’elicottero su cui viaggiava ha però scombussolato tutti i giochi del potere. A questo proposito, considerate le circostanze dell’evento, non si può nemmeno escludere che la caduta del velivolo che trasportava il Presidente in carica e alcuni suoi sodali di alto livello sia stata causata volutamente dallo stesso pilota che avrebbe così deciso di sacrificarsi per liberare il Paese da un personaggio spietato e impopolare.
Le elezioni presidenziali convocate in tutta fretta dopo quella morte hanno visto, con sorpresa di molti in patria e all’estero, che il Consiglio dei Guardiani assieme a tre candidati conservatori aveva deciso di far correre anche un “riformista”. La sorpresa è stata ancora più grande quando proprio costui ha vinto al ballottaggio la gara elettorale contro il candidato ultra conservatore che era rimasto.
Conoscendo quel sistema si può escludere che il tutto sia avvenuto casualmente e dobbiamo allora cercare alcune possibili spiegazioni.
Al primo turno, in gara c’erano il religioso conservatore Mostafa Pourmohammadi, il presidente del parlamento ed ex comandante delle Guardie Rivoluzionarie Mohammad Bagher Ghalibaf, sostenuto dai conservatori moderati, l’ultra conservatore Saeed Jalili, ex segretario del Consiglio supremo nazionale iraniano e il riformatore moderato Massoud Pezeshkian. Quest’ultimo è un medico cardiochirurgo che non si era mai risposato dopo che la moglie morì in un incidente d’auto e ha cresciuto i figli da solo. Fu presidente dell’Università e Ministro della Salute durante la presidenza del riformatore Khatami diventando in seguito membro del parlamento. Pur essendo non particolarmente conosciuto né essersi distino come parlamentare agguerrito, riveste l’immagine di essere competente, pio e per nulla corrotto. Inoltre, la sua ascendenza è in parte curda e in parte azera e quindi potenzialmente gradito alle due minoranze. Al primo turno durante la campagna elettorale, convinti che sarebbe passato uno di loro, i tre candidati conservatori non hanno risparmiato i reciproci attacchi e ognuno di loro era portatore di uno dei gruppi di interessi che, all’interno del potere costituito, lottano da tempo tra loro per la supremazia. Sembrava che il favorito, anche perché sostenuto dalla Guardie Rivoluzionarie, potesse essere Ghalibaf ma al ballottaggio arrivò invece Jalili che si trovò contro Pezeshkian. A questo punto sembra che non solo l’elettorato più vicino ai riformatori ma anche alcuni tra i sostenitori di Ghalibaf e di Pourmohammadi abbiano scelto di appoggiare Pezeshkian. Costui aveva fatto una campagna elettorale apparentemente sottotono in quanto riformatore, ribadendo in più occasioni la sua fedeltà alla suprema guida Khamenei e ribadendo di credere nell’identità fondamentale della repubblica islamica. In positivo si è concentrato nel promettere di ridurre l’inflazione, migliorare l’azione di governo, facilitare l’accesso a internet e non enfatizzando la rigidità nelle restrizioni sull’abbigliamento femminile. In altre parole ha cercato di presentarsi come un riformatore moderatissimo, rispettoso delle virtù religiose e conscio delle responsabilità dell’equilibrio necessario in politica. È stato sincero e il suo comportamento sarà veramente come pre-annunciato? È possibile, però occorre ricordare che se fosse partito con un atteggiamento diverso e più “rivoluzionario” non solo le probabilità che il sistema lo lasciasse vincere sarebbero state quasi minime ma è perfino pressoché sicuro che sarebbe stato escluso dalla lista dei candidati. Certamente, la sua elezione ha beneficiato anche della spaccatura tra i conservatori pragmatici e i dogmatici intransigenti che avevano vinto con il governo Raisi ma non va sottovalutato che durante la sua campagna elettorale gli ex politici riformatori del passato lo hanno fortemente sostenuto. Lo ha fatto soprattutto Azar Mansoori, una donna considerata leader dei riformatori, la stessa che aveva, con successo, invitato a boicottare le elezioni presidenziali del 2021 e quella parlamentari del 2023. Questa volta invece ha invitato la gente ad andare a votare e scegliere Pezeshkian. Una osservazione particolare riguarda il fatto che l’anagrafica lascia pensare che proprio durante questa nuova presidenza potrebbe probabilmente accadere che si dovrà scegliere una nuova Guida Suprema che prenda il posto di Khamenei. Essere oggi Presidente può non avere moltissimo peso, ma in alcune nomine e in alcune decisioni quella posizione può giocare un ruolo. Ancora di più se l’attuale Guida suprema dovesse scomparire improvvisamente creando così un vuoto istituzionale e scatenando le lotte tra i vari gruppi conservatori.
È comunque impossibile pensare che Pezeshkian potesse essere candidato e poi eletto contro la volontà di Khamenei. Contrariamente alla vulgata diffusa in occidente, i politici iraniani e lo stesso Khamenei non sono dei fanatici invasati di fede religiosa ma sono, al contrario, dei raffinati machiavellici forti di una cultura dotta e secolare. Il Paese sta soffrendo pesantemente una crisi economica che colpisce tutti gli strati della popolazione salvo i privilegiati vertici del potere e i loro sodali. Tutti loro, Khamenei incluso, erano oramai consci che l’impopolarità del sistema stava arrivando ad un punto di non ritorno. Le sanzioni economiche stanno soffocando sempre di più le possibilità di sviluppo e hanno fermato quasi del tutto gli investimenti e il know how dall’estero. È facile immaginare che la stessa guida religiosa abbia capito che, almeno nelle apparenze, qualcosa doveva cambiare per l’opinione pubblica e l’offrire una seppur piccola speranza di rinnovamento avrebbe aiutato a placare gli animi e ridare un po’ di rispettabilità al sistema (“Cambiare tutto per non cambiare niente” dice qualcosa?). I problemi tuttavia non si fermano alla politica interna. I vertici iraniani sanno benissimo che la loro attuale sopravvivenza deve moltissimo, se non tutto, all’aiuto che a loro arriva da Cina e Russia ma sanno altrettanto bene che ogni Paese persegue un proprio egoistico interesse e che, in caso cambiassero certi equilibri, i due attuali partner potrebbero anche decidere verso altre direzioni. Con sano realismo quindi Khamenei, che continua e continuerà a manifestare pubblicamente la sua ostilità nei confronti degli Stati Uniti e dei suoi alleati, ha però deciso di permettere ad una figura potenzialmente più accettabile da parte dell’occidente di avere un ruolo che, almeno formalmente, possa aprire ad altri scenari sia in politica interna che internazionale. Ciò non significa che l’Iran potrebbe voltare le spalle a Cina e Russia ma che potrebbe aprire contemporaneamente ad un maggiore dialogo con gli occidentali. Nessuno si può illudere che l’Iran cambierà improvvisamente il proprio atteggiamento anche perché, comunque sia, la politica estera è strettamente nelle mani dello stesso Khamenei (anche il ministro degli Esteri del governo Pezeshkian non potrà che essere un esecutore delle direttive che gli arriveranno dalla Guida suprema e dai consiglieri in politica internazionale di quest’ultimo). Comunque sia, non è stato casuale che Pezeshkian abbia sostenuto di volersi impegnare in “dialogo costruttivo” con i Paesi europei (sebbene continui ad accusarli di aver tradito l’accordo del 2015). Ha anche parlato di voler aumentare la collaborazione con i Paesi vicini sostenendo che tutta l’area sarebbe molto più sicura e tranquilla se regnasse tra loro la collaborazione anziché la ricerca del dominio di un singolo Stato. A proposito della guerra di Gaza, nonostante l’Iran continui a sostenere pubblicamente Hamas e la causa palestinese in generale, ha dichiarato che la sua amministrazione farà di tutto per spingere i vicini Stati arabi a collaborare affinché sia raggiunto un qualunque cessate-il-fuoco. A questo proposito, anche qui considerando le modalità con cui si è svolto l’assassinio di Ismail Haniyek, non è da escludere che tale omicidio abbia avuto almeno un tacito consenso dei massimi poteri di Teheran. Costui, infatti, pur presentandosi al mondo come la parte più dialogante di Hamas (in un gioco delle parti comunemente usato in politica) era sempre stato percepito dagli iraniani come “troppo indipendente”. Infatti, tutta sua fu la responsabilità della decisione che Hamas, in Siria, si schierasse con le fazioni ribelli (sostenute da sauditi e turchi) contro al-Assad e quindi contro gli iraniani. Ovviamente, anche se così fosse stato, mai e poi mai qualcuno lo ammetterà.
Anche per quanto concerne le scelte economiche e di politica interna il margine di manovra del nuovo governo sarà condizionato pesantemente. La onnipresenza pervasiva delle aziende che fanno capo alle Guardie Rivoluzionarie obbligherà il nuovo governo a negoziare e concordare con loro ogni intervento che non vorrà essere minimale.
Come si diceva all’inizio di queste righe, la politica medio orientale è molto complessa e raramente trasparente. In Iran lo è ancora di più rispetto a tutti i Paesi che lo circondano. I gruppi di interesse sono tanti e la lotta tra di loro non è mai venuta meno nonostante l’apparente compattezza. I precedenti tentativi, supportati dall’occidente, di apportare cambiamenti al sistema sono sempre naufragati nel nulla aprendo la porta a vecchi poteri reazionari. Non è da escludere che questa volta, in maniera mai dichiarata e affatto eclatante, si arrivi man mano a cambiamenti politici inaspettati. Affinché ciò possa avvenire, sarà però indispensabile che nessuna forza straniera si intrometta in alcun modo, né solleciti accelerazioni perché, se così fosse, anche i poteri ora in lotta tra loro si ricompatterebbero immediatamente e tutto tornerebbe a bloccarsi.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.