Iran. Non si ferma la protesta. Perché il problema non è solo il velo

di Enrico Oliari

Le continue proteste in Iran stanno tenendo sotto pressione il regime degli ayatollah, poiché più che indebolire la struttura teocratica dello Stato, mettono a nudo l’incapacità della leadership di governare e di fare fronte ai molti problemi della gente comune, costretta ad arrancare tra le mille difficoltà della vita quotidiana.
All’iraniano medio non interessano il muro contro muro con Israele, il sostegno ad Hezbollah in Libano, agli houthi dello Yemen e al governo siriano di Bashar al-Assad. Ai giovani iraniani interessa il lavoro, alle famiglie serve la stabilità economica per far fronte all’alto costo della vita, gli studenti vogliono prospettive, mentre tutti si ritrovano uno Stato dall’amministrazione farraginosa, un esercito infinito dai costi infiniti, e un clero da idolatrare con tanto di ayatollah miliardari, tanto che la Guida suprema controlla un impero economico che spazia dalla finanza alle telecomunicazioni, dal cemento all’industria bellica.
In questo la misera sorte toccata a Mahsa Amini, la 22enne morta lo scorso 16 settembre dopo essere stata arrestata dalla Polizia della Morale per non aver indossato correttamente il velo, rappresenta solo la miccia che ha acceso le proteste in tutto il paese per un problema più grande ed articolato.
Di certo le accuse mosse anche dal presidente Ibrahim Raisi, secondo cui dietro ai disordini vi sarebbero gli Usa, risultano assai deboli, per quanto Cia e Casa Bianca avessero alle loro spalle una lunga serie di paesi destabilizzati e di guerre iniziate proprio dall’alimentazione del malcontento interno, com’è avvenuto nel 2014 in Ucraina con Maidan e la deposizione del presidente eletto Viktor Yanukovic. L’Iran ha infatti un ottimo servizio di sicurezza in grado di far fronte alle interferenze esterne, per cui risulta assai probabile che la protesta, alla quale ora si associano anche le rivendicazioni di autodeterminazione delle minoranze etniche (dai curdi ai beluci) risulti del tutto spontanea.
Se suscitano simpatia i giovani che in questi giorni fanno cascare in strada i copricapo degli ayatollah, preoccupano i numeri della repressione, probabilmente sottostimati: sarebbero quasi 300 i morti, con poliziotti che, secondo le organizzazioni per i diritti civili, non si sarebbero fatti problemi a sparare colpi veri sui manifestanti. Gli attivisti hanno accusato le forze dell’ordine di aver ucciso un’ottantina di manifestanti a Zahedan lo scorso 30 settembre, ma vittime ci sono state in diverse città dell’Iran anche lo scorso venerdì, un giorno “di sangue”.
Il Guardian, rifacendosi a fonti dell’Unione degli studenti iraniani, ha riportato che almeno 40 studenti sono stati arrestati in questi ultimi giorni in diversi campus del paese.