di Giuseppe Gagliano –
Nel pieno della nuova escalation tra Israele e Iran, la prima reazione non è arrivata dal Pentagono o da Teheran, ma dai mercati. Il prezzo del petrolio è balzato fino al +13%, toccando i massimi dal gennaio scorso. Un segnale inequivocabile: il nervo energetico del pianeta è scoperto, e basta un colpo mal assestato per scatenare una crisi sistemica.
Al momento Israele non ha ancora colpito i terminali petroliferi iraniani. Ma il solo timore che ciò possa accadere ha messo in allarme gli operatori globali. Il motivo è semplice: secondo Reuters, la capacità inutilizzata tra i Paesi OPEC e i loro alleati è oggi appena sufficiente a coprire, forse, l’intera produzione iraniana. Tradotto: se l’Iran smette di pompare, nessuno può davvero compensare. E se nel frattempo si aggiunge un’altra crisi — un conflitto, un uragano, un sabotaggio — il sistema salta.
Jorge Leon, ex funzionario OPEC e oggi analista di punta per Rystad Energy, non ha dubbi: “Se l’Iran decidesse di interrompere i flussi attraverso lo Stretto di Hormuz, o colpisse infrastrutture petrolifere regionali o basi USA, potremmo assistere a un’impennata dei prezzi di 20 dollari al barile, o più”. Uno scenario non improbabile, considerando che Teheran dispone di milizie alleate in Iraq, Siria, Libano e Yemen, ed è esperta nell’arte della pressione indiretta.
Il paradosso è che oggi il mercato non teme un attacco israeliano, quello è dato per scontato, ma una ritorsione calibrata iraniana: non troppo letale per scatenare una guerra aperta, ma abbastanza efficace da far vacillare i nervi del sistema energetico globale.
Lo Stretto di Hormuz, che separa Iran e Oman, è il collo di bottiglia attraverso cui transita circa un quinto del petrolio mondiale. Un suo blocco, anche parziale, produrrebbe effetti a cascata: dai prezzi dei carburanti in Europa alla stabilità delle valute in Africa e Asia.
In questo scacchiere, la questione non è solo quante bombe cadranno, ma quanto sarà lungo il braccio di ferro tra deterrenza militare e stabilità energetica. E in mezzo, come sempre, ci stanno i consumatori e i governi che dipendono dal consenso interno per sopravvivere a un’inflazione energetica che potrebbe tornare a bruciare, più velocemente delle bombe.