Iran. Sequestrata petroliera irachena

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I pasdaran iraniani (Guardiani della Rivoluzione) hanno sequestrato oggi una petroliera irachena accusata di contrabbandare 700mila litri di petrolio. Lo hanno reso noto le stesse autorità iraniane, e la notizia è stata confermata da Baghdad, ma secondo la parte iraniana la nave avrebbe rubato petrolio iraniano per portarlo in uno dei paesi arabi del Golfo.
I marinai, appartenenti a diverse nazionalità, sono ora agli arresti.
Difficilmente quanto accaduto oggi è da inquadrarsi nella “guerra delle petroliere”, che vede contrapposti Iran e Stati Uniti con le monarchie del Golfo, proprio perché il petrolio contrabbandato è quello iraniano: il 20 luglio, in una tensione crescente, gli iraniani hanno sequestrato una nave cargo britannica carica di greggio nei pressi dello Stretto di Hormuz, la Stena Impero, con a bordo 23 membri dell’equipaggio di cui nessuno inglese, in evidente ritorsione per la Grace 1 iraniana sequestrata agli inizi di luglio da parte della Marina britannica presso lo Stretto di Gibilterra su richiesta degli Usa in quanto diretta in Siria.
Per le autorità iraniane la Stena Impero avrebbe “spento il suo localizzatore, navigando attraverso l’uscita piuttosto che per l’entrata dello Stretto e ignorato gli avvertimenti”. Il direttore generale dell’autorità portuale della provincia di Hormozgan, Allah-Morad Afifipoor, ha spiegato che la nave britannica di 30mila tonnellate avrebbe urtato un peschereccio, mentre per la società armatrice Northern Marine Management la nave, diretta in Arabia Saudita, è stata “avvicinata da piccole imbarcazioni non identificate e da un elicottero durante il transito dello stretto di Hormuz mentre la nave si trovava in acque internazionali”.
Fatti del genere sono da vedersi come atti dimostrativi dopo che gli Usa, usciti per volere di Donald Trump dall’accordo sul nucleare iraniano (Jpcoa), hanno obbligato i paesi alleati tra cui l’Italia a non acquistare idrocarburi dall’Iran, cosa che ha spinto il paese in una seria crisi economica.
In mezzo si sono inseriti falsi allarmi e falsi attentati mossi da paesi che lo scontro lo cercano davvero, per quanto spesso i fatti portino alla luce verità ben diverse.
A metà giugno sono avvenuti attacchi a due petroliere, una giapponese ed una norvegese, sempre nei pressi dello Stretto di Hormuz: anche in questo caso il presidente Usa Donald Trump ha puntato il dito contro l’Iran, ma proprio quel giorno era in visita a Teheran il premier di Tokyo, Shinzo Abe, per cui difficilmente i pasdaran avrebbero minato una petroliera giapponese, carica di greggio diretto in Giappone, rischiando di mandare all’aria le relazioni con i due paesi.
In maggio due petroliere della Saudi Aramco, ormeggiate nei pressi degli Emirati Arabi Uniti, sono state sabotate, ed anche qui Trump se l’è presa con l’Iran, senza prova alcuna. La cosa è finita lì, e probabilmente a Washington si è capito che c’è qualcuno che sta cercando il casus belli, e non è di certo l’Iran.
Intanto però gli Usa hanno inviato altri militari in Arabia Saudita e soprattutto stanno vendendo missili difensivi ed altre armi ai vari paesi alleati dell’area, ma non è detto che il tutto non rientri nella strategia della Casa Bianca di alzare il più possibile la tensione al fine di riprendere in mano gli accordi sul nucleare iraniano, magari introducendovi il divieto, oggi assente, di testare missili balistici convenzionali.