Iraq. In ottobre si vota, tra proteste, violenze, disillusione e il rischio di brogli

di Shorsh Surme

Il prossimo 10 ottobre gli iracheni saranno sono chiamati alle urne per eleggere il nuovo parlamento federale. Un voto che avviene con poche aspettative e molta disillusione, dal momento che nel paese si susseguono le proteste, anche violente: dal 2003, cioè dopo la caduta del regime di Saddam Hussein, non si è avuta che una minima parvenza di democrazia, si è instaurato un sistema corrotto ed è stato saccheggiato il denaro pubblico, con il conseguente impoverimento dell’Iraq.
Il voto del mese prossimo si terrà un anno prima della scadenza naturale in linea con una promessa fatta dal primo ministro Mustafa al-Kadhimi quando assunse l’incarico nel 2020. D’allora il presidente sta cercando di placare le manifestazioni anti-governative che si susseguono dall’ottobre 2019 sia a Baghdad che al sud dell’Iraq.
Come sempre i cittadini temono brogli, e a questo proposito alcuni giorni fa il giudice Jaleel Adnan Khalaf, presidente dell’Alta Commissione elettorale indipendente irachena, ha dichiarato in un’intervista al giornale Azzaman di aver identificato e sventato tentativi di frode elettorale, sottolineando che “Quello che sentiamo qua e là è che i cittadini stanno vendendo le loro tessere elettorali”, riferendosi a un modo per i candidati di acquistare essenzialmente voti. “La commissione – ha avvertito Khalaf – ha stabilito le regole molto rigorose”.
La legittimità e la trasparenza delle elezioni sono state messe in discussione, aumentano gli episodi di violenza contro attivisti e candidati indipendenti, tra cui una serie di omicidi mirati nei mesi scorsi; la morte dell’attivista Ehab al-Wazni di Karbala ha convinto molti iracheni a boicottaggio le elezioni.
Va ricordato che nelle elezioni del 2018 sono state contrassegnate da un grave disinteresse degli elettori iracheni: solo il 44% degli elettori hanno partecipato al voto.