Iraq. L’orrore dell’Isis nelle fosse comuni

di Gianluca Vivacqua –

Hawija, 240 km a nord di Bagdad. C’era una base militare aerea degli americani lì, dove le forze di sicurezza irachene hanno rinvenuto l’ultima raccapricciante eredità dell’Isis: una fossa comune con oltre 400 cadaveri. Anzi, una serie di fosse comuni. Prima che la città lo scorso 4 ottobre venisse ripresa ai miliziani fedeli ad al-Baghdadi, quella base era stata trasformata in un mattatoio umano: ed è stato proprio entro le sue mura che gli estremisti hanno giustiziato con sommaria crudeltà quella massa di inermi civili, senza neppure curarsi di dar loro un luogo di sepoltura diverso, o troppo lontano, da quello dell’esecuzione. Dopo la strage infatti i corpi sono stati ammucchiati in modo tale da colmare cavità appositamente predisposte nella stessa ex base e in altri punti intorno ad essa. Forse l’incalzare degli eventi ha reso necessaria quella “sistemazione di emergenza”, ma è evidente che è solo una congettura. Quel che è certo è che la notizia della scoperta del sito, riportata dalla Bbc online, proviene direttamente da Rakan Said, governatore della regione di Kirkuk, di cui Hawija fa parte. A sua volta Said è stato informato da un generale, Mortada al-Luwaibi, che ha raccolto la “segnalazione di alcuni testimoni”.
La città di Hawija, il cui nome in curdo ha un significato curioso, “carota selvaggia”, è il centro dell’omonimo distretto. Un popoloso centro, almeno prima dell’occupazione da parte dello Stato Islamico, dal momento che, a pieno regime demografico, la città e il suo hinterland contano un numero di abitanti pari a 100mila unità. La maggior parte di essi (85%) sono arabi sunniti, ma non manca una minoranza di sciiti turkmeni. Negli anni oscuri e terribili in cui è stato in mano all’Isis però il territorio di Hawija ha visto un esodo quasi ininterrotto di persone e gruppi familiari: a tutto agosto 2016 le stime del governo regionale del Kurdistan parlavano di un totale di 18mila profughi, e all’appello mancavano più di 400 famiglie.
Che l’esecuzione che ha avuto come centro l’ex base militare alle porte di Hawija sia stata fatta in modo “frettoloso” sembra confermarlo anche ciò che resta dell’abbigliamento dei giustiziati: si è potuto notare infatti che alcuni erano stati preparati adeguatamente alla bisogna, con la tuta arancione che potremmo definire di ordinanza per i rituali Isis, e che l’occidente ha imparato a conoscere attraverso i video degli ostaggi decapitati nell’estate del 2014. Altri cadaveri invece mostrano gli ultimi brandelli di abiti di uso quotidiano, ossia quelli che presumibilmente avevano indosso nel momento in cui i miliziani dell’Isis li hanno presi di forza e condotti davanti al plotone di esecuzione. Per costoro non c’è stato il tempo per un “cambio di abiti”.
Si può anche congetturare a questo punto che le vittime in tuta fossero il nucleo originario dei condannati, magari già prigionieri da un po’ di tempo; ad essi se ne sono poi aggiunti degli altri, che è stato necessario passare per le armi a poche ore dalla loro cattura.