di Giuseppe Gagliano –
Il segretario generale della NATO, Mark Rutte, ha incontrato a Baghdad il primo ministro iracheno, Mohammed Shia’ al-Sudani, per discutere il rafforzamento della cooperazione nel settore della difesa. La missione NATO in Iraq (NMI), avviata nel 2018 su richiesta del governo locale, ha come obiettivo principale il supporto istituzionale alle forze di sicurezza irachene, in un contesto che rimane altamente instabile. L’elemento chiave dell’incontro è stato il tentativo di dare maggiore profondità alla presenza della NATO nel paese, con una collaborazione che non si limita più alla formazione, ma si estende anche al settore industriale militare.
Il governo di Baghdad ha espresso interesse per una cooperazione sulla produzione di equipaggiamenti per la difesa, un passo significativo che mostra come l’Iraq voglia emanciparsi dalle tradizionali forniture russe e iraniane, guardando verso l’Occidente. Il messaggio è chiaro: l’Iraq cerca un nuovo equilibrio, consapevole del fatto che il suo spazio di manovra è ridotto dalla presenza di attori ingombranti, come l’Iran, che mantiene una forte influenza sulle milizie sciite locali.
La NATO si muove con cautela, consapevole di essere percepita come un corpo estraneo in un’area dove la presenza militare occidentale è da sempre oggetto di contestazione. Rutte ha insistito sul concetto di “missione non combattente”, una formula che serve a rassicurare le autorità irachene e l’opinione pubblica, ma che nasconde la volontà di rafforzare il perimetro di influenza dell’Alleanza in un Medio Oriente sempre più instabile. La questione della sicurezza regionale è infatti al centro del dossier, con i recenti sviluppi a Gaza, Libano e Siria che preoccupano sia Washington che Bruxelles. Il ritiro statunitense dalla Siria e la crescente pressione iraniana sulla regione pongono l’Iraq in una posizione strategica delicata.
L’invito di Rutte al premier iracheno a partecipare al prossimo vertice NATO a Bruxelles è un segnale politico forte. Non è solo una questione di cooperazione tecnica: è il tentativo di portare Baghdad in un dialogo più strutturato con l’Alleanza, in un momento in cui gli equilibri regionali sono in piena trasformazione. La Russia, impegnata su più fronti, mantiene un’influenza limitata, mentre la Cina si muove con investimenti mirati, senza entrare direttamente nel campo della sicurezza. L’Iran, invece, gioca su più tavoli e resta l’attore più imprevedibile.
L’Iraq ha bisogno di stabilità per evitare che il Paese si trasformi in un nuovo terreno di scontro tra le potenze esterne. L’interesse per una cooperazione industriale con la NATO va letto in questa prospettiva: Baghdad cerca di diversificare i suoi alleati e di rafforzare la propria capacità di deterrenza senza diventare il prossimo bersaglio di una guerra per procura. Per ora la NATO offre assistenza e addestramento, ma il confine tra supporto e presenza operativa è sempre più sottile. Il nodo sarà capire fino a che punto l’Iraq potrà mantenere questa posizione di equilibrio, mentre i venti della geopolitica soffiano sempre più forte sulla regione.