Iraq. Scenari e fide per il dopo-elezioni

di Dario Rivolta * –

Dopo il voto del 12 maggio, il neo eletto Parlamento iracheno ha come primo compito quello di eleggere un proprio presidente e due vice. Alla prima votazione, con voto segreto, sarà necessaria una maggioranza assoluta. Se entro quindici giorni tale maggioranza non si è realizzata, basteranno i due terzi dei voti su di una lista ristretta di candidati. Se anche ciò non dovesse bastare si andrà al ballottaggio tra i primi due classificati. E’ curioso notare che il presidente uscente dell’Assemblea, Salim al-Jabouri, non ha ricevuto sufficienti voti per la rielezione e non è più nemmeno un semplice deputato.
Dopo l’elezione degli organi di governo del Parlamento, Baghdad affronterà il compito più difficile e cioè la ricerca di una maggioranza per governare. Alle ultime elezioni occorse qualche mese prima di identificare in Haider al-Abadi il primo ministro che avrebbe ottenuto la fiducia. Anche in quel caso, come prima di lui per la nomina di al-Maliki, fu indispensabile l’accordo dei partiti curdi.
Questa volta la situazione non sembra per nulla più facile. Il partito di al-Abadi, nonostante fosse sponsorizzato sia dagli americani sia dagli iraniani, è arrivato solo terzo nella scelta degli elettori mentre è arrivato primo (con sorpresa di chi segue glie eventi iracheni solo da lontano o di chi aveva confuso i propri desiderata con la realtà) il partito Sayrun, una coalizione tra il clerico sciita Moqtada al-Sadr e il Partito Comunista. Secondo si è classificato il gruppo delle milizie anti-ISIS, trasformatosi in partito con il nome di al-Fatih e guidato da Hadi al-Amiri. Quest’ultimo gruppo è il più sensibile alle influenze iraniane e qualcuno sostiene che sia totalmente dipendente da Tehran. I curdi nel loro insieme sarebbero la forza politica più forte nel Parlamento iracheno, ma si sono presentati divisi e la coalizione di PDK (Barzani) e PUK (Talabani) raggiungerebbe, se mantenesse unità d’azione, il terzo posto.
I numeri spiegano meglio quali siano le difficoltà per trovare una maggioranza: i deputati saranno 329 e la maggioranza richiesta è quindi di 165 voti. Ebbene, al-Sadr ha ottenuto 54 seggi, al-Amiri 47, al-Abadi 42, i curdi in totale 58 (ma tra loro: il PDK ne ha 25, il PUK 18 e gli altri si dividono il resto). Il partito State of Law dell’ex primo ministro Nouri al-Maliki ha avuto 26 posti, Al Watanya di un altro ex PM, Ayad Allawi, solo 21. Gli altri 81 seggi sono divisi tra i restanti partiti.
Immediatamente dopo le elezioni sono cominciati gli incontri più o meno ufficiali tra i vari leader e sono apparse le prime incompatibilità. I filo iraniani di al-Amiri hanno subito affermato che faranno di tutto per impedire che al-Sadr possa avere una voce decisiva per la scelta del Governo e si sa che lo stesso al-Sadr ha un’impronta fortemente nazionalista che si oppone all’interferenza di qualunque altro paese, siano essi gli Stati Uniti o l’Iran. al-Maliki è praticamente visto come la bestia nera dalla maggior parte dei sunniti per l’atteggiamento estremamente settario da lui avuto quando era Primo Ministro. I curdi avevano già avuto forti scontri con al-Maliki a causa del contenzioso sul petrolio, e poi anche con al-Abadi per gli stessi motivi e soprattutto dopo la tenuta del referendum per l’indipendenza del Kurdistan. E’ quindi difficile immaginare come tali ostilità possano essere superate.

Queste le maggiori distonie.
Esistono però le compatibilità, anche se alcune possono suonare sorprendenti: la campagna elettorale di al-Sadr (e tutta la sua azione politica degli ultimi anni) si è basata principalmente sulla denuncia della corruzione, delle ingerenze straniere e del settarismo che andava superato in nome di una riscoperta del sentimento nazionale unitario che andasse oltre le appartenenze tribali o religiose. Anche il PM uscente al-Abadi aveva cercato di combattere la corruzione e di opporsi, senza riuscirci per l’ostilità del precedente Parlamento, al settarismo che ne era la principale causa (tutti i ministri dovevano rispondere non a lui ma alla tribù, e al partito, di provenienza). Almeno sugli obiettivi quindi questi due partiti potrebbero trovare punti in comune. Sennonché i numeri non basterebbero e si dovrebbero cercare convergenze anche altrove. Il Partito Comunista, alleato di al-Sadr, ha ottimi rapporti con i curdi del PDK, così come lo stesso leader che con loro ha sempre dialogato fruttuosamente. Meno buoni però per i motivi suddetti, sono le compatibilità tra Barzani e al-Abadi e metterli d’accordo non sarà facile. I curdi hanno invece ottime relazioni con Allawi, sebbene una parte della base elettorale di quest’ultimo sia fortemente anti-curda.
Di certo, se i vari partiti curdi riuscissero ad avere una voce unica, come formalmente richiesto anche dal primo ministro della Regione autonoma, la loro forza parlamentare sarebbe indispensabile per qualunque maggioranza possibile. Peccato che anche al loro interno le divisioni siano andate accentuandosi anziché ridursi. Ne sono esempio le accuse di tradimento che in tanti hanno lanciato contro il PUK, reo di essersi arreso senza combattere a Kirkuk alle milizie filo-iraniane, e le insinuazioni su presunti brogli elettorali commessi dallo stesso PUK nelle elezioni svoltesi a Suleimanya o nella stessa Kirkuk (chi accusa è soprattutto il Goran, mentre il PDK non si presentò a Kirkuk proprio adducendo la non sicurezza della libertà di voto).
Comunque una quadra andrà trovata e alla fin, la soluzione che oggi appare più probabile è un’alleanza che veda confermare al-Abadi quale primo ministro e che conti sulla partecipazione dei partiti di al-Sadr (personalmente non candidato e quindi non eletto), di al-Abadi, del PDK e del PUK, di Allawi e di alcuni altri voti sparsi.
La grande sfida per qualunque Governo sarà tuttavia quella di provvedere alla ricostruzione del Paese dopo la guerra con l’ISIS, operazione che richiederà circa 100 miliardi di dollari, di superare le divisioni inter-etniche e inter-religiose e di ridurre, se non sconfiggere, l’endemica corruzione.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.