Irlanda. Il futuro sarà veramente luminoso?

di Tiziano Sini *

“Non abbiate paura. Ci attende un futuro luminoso”: queste le eloquenti parole espresse da Mary Lou McDonald, leader del partito Sinn Féin nella Repubblica d’Irlanda, a seguito della notizia del successo elettorale riscontrato dall’omonimo partito in Irlanda del Nord. Il risultato, ritenuto storico a tutti gli effetti, ha consentito per la prima volta al partito indipendentista di ottenere più seggi del Partito Democratico Unionista, 27 per il primo, mentre si è fermato a 25 il secondo (anche se di fatto i seggi di Sinn Féin sono rimasti i medesimi del 2017, mentre sono diminuiti quelli del DUP, passati da 28 a 25). Un segnale estremamente significativo ed emblematico di un’inversione di tendenza molto importante sul piano politico nel Paese.
Di fronte a questo avvenimento, il primo aspetto facile da cogliere riguarda la prevalenza dello stesso partito nelle due Irlande, probabilmente anche agevolato da un tasso di natalità maggiore dei cattolici rispetto ai protestanti, dato già ampiamente confermato negli anni dall’affluenza scolastica e, probabilmente, ormai relativo all’intera popolazione. Tale novità non esime dall’avanzare analisi e riflessioni, caratterizzate in prevalenza da incognite e interrogativi: prima fra tutte conseguenze possa portare un tale allineamento.
La prima risposta, ed anche la più semplice, non può che riguardare uno scenario relativo all’unificazione delle due anime irlandesi. Divenuto per anni motivo di sanguinose contese e placato dai famosi accordi del Venerdì Santo (Accordi di Belfast) del 1998 che, fra le altre cose, consentirono anche una maggiore rappresentanza all’erede politico dell’IRA, lo stesso Sinn Féin.
Allo stesso tempo, numerose sono le ragioni per spegnere facili entusiasmi – come gli irlandesi sanno bene -, e tali ragioni sono rintracciabili nel sopracitato Accordo, a partire da una delle prerogative principali dedicata alla coabitazione degli attori politici, attraverso la costituzione di governi di coalizione che rilevino al loro interno le due anime del Paese: quella cattolica e indipendentista e quella protestante e unionista.
Se, infatti, questo aspetto tecnico sembra in parte secondario, letto nell’ottica delle vicende e degli scenari maturati a seguito della Brexit assumerà tutt’altra dimensione. Dopo i due anni e mezzo di intensi e difficili negoziati, le parti avevano raggiunto un complesso ed artificioso compromesso, concluso proprio con la stipula del problematico Protocollo sull’Irlanda del Nord. La tortuosa questione caratterizzata dal traumatico spostamento del confine doganale non più fra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda, ma nel Mare di Irlanda, è andata a creare una condizione inedita, promuovendo un avvicinamento di fatto dell’Irlanda del Nord al resto del Paese, rispetto al Regno Unito.
Una scelta che ha garantito non solo il rispetto dei vincoli economici imposti dagli Accordi del Venerdì Santo, ma che allo stesso tempo proietta Belfast verso l’Europa. Questi sviluppi hanno destato immediatamente profondi malumori, in primo luogo da parte degli stessi Unionisti, alleati storici della Corona inglese, sentitisi sacrificati politicamente da un accordo strappato all’ultimo respiro da Boris Johnson, per chiudere la pratica Brexit.
I dissapori sono aumentati negli ultimi mesi, con la decisione da parte del Partito Democratico Unionista di far cadere il Governo, minacciando inoltre la non partecipazione alla formazione di quello successivo; creando così pressioni sulle premesse stabilite dall’Accordo di Belfast, che al momento regolano il sistema politico. Una situazione quindi controversa, agevolata anche dalla mancanza di volontà politica da parte del DUP di diventare socio di minoranza in un Governo a guida Sinn Féin e che, secondo alcuni esperti, potrebbe portare nello scenario peggiore anche ad una revisione degli Accordi stessi, vista l’impossibilità a procedere celermente alla revisione del Protocollo sull’Irlanda del Nord stipulato con l’Europa, a meno di un recesso unilaterale di Londra.
In questa ottica, le parole di Mary Lou McDonald potrebbero assumere tutt’altra significato, mirando al raggiungimento del border poll (referendum sull’indipendenza) entro il decennio. La decisione, in base agli accordi vigenti, spetterebbe al Segretario britannico dell’Irlanda del Nord, facente parte del Governo britannico, la cui scelta dovrebbe essere guidata da un evidente volontà popolare, cosa che al momento sembra non così forte. Tagliando fuori così qualsiasi azione diretta delle autorità irlandesi.
Tutti fattori che avvalorano la tesi per cui l’elemento destabilizzante nel breve periodo non sia in verità il referendum, quanto la rottura di un equilibrio già estremamente precario, reso tale prevalentemente da scelte spregiudicate compiute da Westminster negli ultimi anni.

* Mondo Internazionale Post.

Articolo in mediapartnership con il Giornale Diplomatico.