di Giuseppe Gagliano –
Il ministero della Sanità di Gaza ha appurato che dall’inizio della nuova fase del conflitto, ormai 11 mesi fa, il numero delle vittime accertato e di 40.972 morti, di cui un terzo bambini, mentre i feriti sono stati 94.761. Il conflitto sembra essere costantemente sul punto di allargarsi ai paesi vicini, con gli israeliani che continuano a colpire in modo preventivo o per reazione gli Hezbollah in Libano, i Pasdaran iraniani in Siria e a compiere omicidi eccellenti altrove, come nel caso del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, lo scorso 31 luglio in Iran.
Vi è poi il problema interno, con le tensioni con i 750mila coloni che occupano illegalmente i territori dei palestinesi e il proposito di Benjamin Netanyahu di buttare fuori i palestinesi dalla Cisgiordania per appropriarsi di quanto più territorio possibile, in barba alle risoluzioni Onu e comunque costantemente in equilibrio grazie agli alleati Usa, e alle potenti lobby sioniste che che guidano la politica.
Nel quadro delle tensioni due giorni fa un cittadino giordano di 39 anni, Maher Dhiab Hussein al-Jazi, ha sparato al valico di frontiera di Allenby, tra Cisgiordania e Giordania, uccidendo tre poliziotti di frontiera israeliani prima di venir neutralizzato dagli agenti.
Nella notte gli israeliani hanno bombardato pesantemente il territorio siriano per colpire obiettivi iraniani, ormai una prassi. Ad essere colpita è stata la provincia centro-settentrionale di Hama, per la precisione l’area di Mesyaf, e il bilancio è stato di 14 morti e 43 feriti, come ha riportato l’agenzia di Stato Sana.
Questo genere di operazioni rappresenta tuttavia un’escalation nel conflitto regionale e solleva questioni critiche di sovranità e diritto internazionale. Damasco ha ripetutamente chiesto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di intervenire per fermare queste incursioni, che violano la sovranità siriana e destabilizzano ulteriormente un Paese già devastato dalla guerra civile. Il veto degli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza ha impedito qualsiasi azione concreta contro Israele, dimostrando come le dinamiche internazionali siano strettamente legate agli interessi geopolitici delle grandi potenze. Gli Stati Uniti mantengono un solido rapporto con Israele, che considerano un alleato strategico in Medio Oriente, e questo legame influenza profondamente le decisioni diplomatiche e militari nella regione. Dal canto suo, Israele è preoccupato dall’influenza crescente di Iran e Hezbollah in Siria, soprattutto dopo la ritirata parziale delle forze statunitensi e il ruolo sempre più centrale giocato dalla Russia nel supporto al governo di Bashar al-Assad. La Siria, con il sostegno di Iran e Russia, continua a essere un campo di battaglia per diverse potenze regionali e globali, il che complica ulteriormente qualsiasi prospettiva di pace. Inoltre l’attacco israeliano avviene nel contesto dell’offensiva contro i palestinesi a Gaza, aumentando il rischio di una più ampia escalation regionale. Mentre i Paesi arabi cercano di normalizzare i rapporti con Israele, la questione palestinese e le azioni militari israeliane in Siria potrebbero minare questi tentativi, creando nuove fratture diplomatiche. In definitiva, la situazione siriana è un chiaro riflesso delle tensioni geopolitiche globali, con potenze locali e internazionali che utilizzano il Paese come terreno di scontro per i propri interessi strategici, senza alcun apparente interesse per la stabilità e la sicurezza della popolazione locale.