di Giuseppe Gagliano –
Il discorso di Benjamin Netanyahu all’Assemblea generale delle Nazioni Unite rappresenta l’ennesima manifestazione di una retorica che non solo polarizza ulteriormente il conflitto israelo-palestinese, ma rischia di isolare Israele sulla scena internazionale. Definire le Nazioni Unite una “palude di bile antisemita” e ridurre la complessità del conflitto a una lotta tra “bene e male” non solo ignora le legittime critiche sulle operazioni militari israeliane, ma delegittima qualsiasi tentativo di mediazione internazionale, essenziale per il raggiungimento di una pace duratura.
Netanyahu continua a presentare Israele come un baluardo di democrazia e civiltà contro le forze del terrore, cercando di ottenere il sostegno incondizionato della comunità internazionale, ma non offre alcuna soluzione concreta alla crisi umanitaria che ha causato decine di migliaia di morti tra i civili palestinesi, incluse donne e bambini.
Il suo rifiuto di un cessate-il-fuoco, sostenuto persino dagli Stati Uniti, indica una chiara volontà di proseguire con l’escalation militare, mettendo a rischio la stabilità dell’intero Medio Oriente.
Inoltre la continua demonizzazione dell’Iran, benché possa avere un certo appeal tra i suoi alleati più fedeli, rischia di aggravare ulteriormente le tensioni regionali, rendendo sempre più improbabile qualsiasi tipo di dialogo diplomatico.
Netanyahu si è presentato sul palcoscenico delle Nazioni Unite non per cercare una soluzione pacifica, ma per giustificare la politica di aggressione del suo governo, ignorando completamente le sofferenze inflitte ai civili e il diritto internazionale.
Questa strategia, basata su una narrativa di vittimismo e di conflitto perpetuo, non fa altro che alimentare l’instabilità e minare qualsiasi possibilità di riconciliazione, rendendo il conflitto israelo-palestinese una ferita aperta non solo per le due popolazioni coinvolte, ma per l’intera comunità globale.