di Giuseppe Gagliano –
Il Fondo Sovrano Norvegese, uno dei più grandi al mondo con un patrimonio di 1.800 miliardi di dollari, ha annunciato la decisione di disinvestire da Bezeq, il principale operatore di telecomunicazioni israeliano. La decisione, altamente simbolica, è stata presa sulla base delle raccomandazioni del consiglio etico del fondo, che ha accusato l’azienda di contribuire al mantenimento e all’espansione degli insediamenti israeliani nei territori occupati della Cisgiordania.
Il consiglio etico del fondo norvegese ha motivato la sua decisione affermando che gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati sono “illegali secondo il diritto internazionale” e che le attività di Bezeq facilitano la “manutenzione e l’espansione” di questi insediamenti. In particolare, la società fornisce infrastrutture di telecomunicazione che permettono alle colonie di operare e svilupparsi, contribuendo così a perpetuare una situazione considerata contraria al diritto internazionale.
Secondo il consiglio, queste attività rendono Bezeq “complice” di una politica che viola i diritti dei palestinesi, ostacolando ulteriormente la possibilità di raggiungere una soluzione pacifica al conflitto israelo-palestinese.
Non è la prima volta che il Fondo Sovrano Norvegese prende decisioni di questo tipo. L’istituzione ha una politica chiara in materia di investimenti etici e ha già escluso in passato altre aziende israeliane coinvolte in progetti o attività nei territori occupati, come banche, imprese edilizie e società di estrazione mineraria.
La linea guida del fondo si basa su principi che vietano gli investimenti in aziende che traggono profitto da violazioni dei diritti umani, distruzione ambientale o altre attività controverse. Il disinvestimento da Bezeq si inserisce quindi in un quadro più ampio di prese di posizione contro pratiche ritenute incompatibili con il diritto internazionale e l’etica aziendale.
La decisione ha sollevato immediate reazioni. In Israele, il governo ha respinto con fermezza le accuse del fondo norvegese, definendole “politicamente motivate” e accusandolo di aderire a una narrativa “distorta” contro lo Stato ebraico. Funzionari israeliani hanno ribadito che le colonie nei territori occupati non rappresentano una violazione del diritto internazionale, sostenendo che la questione sia oggetto di disputa politica e legale.
Dall’altra parte, le organizzazioni per i diritti umani hanno accolto con favore la decisione del fondo norvegese, considerandola un segnale forte contro l’espansione degli insediamenti. Gruppi come Human Rights Watch e Amnesty International hanno spesso criticato le aziende che operano nei territori occupati, sostenendo che queste contribuiscano alla perpetuazione di un sistema discriminatorio contro i palestinesi.
La decisione arriva in un momento di crescente tensione tra Israele e Palestina, con l’espansione degli insediamenti che continua a essere uno dei principali ostacoli al processo di pace. Gli insediamenti, abitati da oltre 700mila israeliani, sono considerati illegali dalla maggior parte della comunità internazionale, compresa l’Unione Europea e le Nazioni Unite. Tuttavia, Israele sostiene che questi territori siano parte integrante della sua storia e della sua sicurezza nazionale.
Il disinvestimento del fondo norvegese sottolinea la crescente pressione internazionale sulle aziende coinvolte nei territori occupati, mettendo in luce le implicazioni economiche e reputazionali per chi opera in aree controverse.
Il caso di Bezeq potrebbe aprire la strada ad altre decisioni simili da parte di istituzioni finanziarie internazionali. Il disinvestimento rappresenta infatti un messaggio chiaro: operare nei territori occupati comporta rischi economici, legali e di reputazione.
In un mondo sempre più attento alle tematiche di sostenibilità e responsabilità sociale, la mossa del Fondo Sovrano Norvegese potrebbe influenzare altri investitori globali a rivedere le proprie strategie e a prendere posizione sulle questioni etiche legate al conflitto israelo-palestinese.