di Giuseppe Gagliano –
L’annuncio congiunto di Antonio Tajani e Guido Crosetto secondo cui l’Italia ha finalmente raggiunto l’obiettivo del 2% del PIL destinato alla difesa, obiettivo fissato in sede NATO nel 2014, arriva con toni trionfalistici, ma cela interrogativi ben più profondi. Non si tratta solo di una cifra su un bilancio, ma di un tassello cruciale nel riposizionamento dell’Europa sullo scacchiere geopolitico globale, mentre la fiducia nel garante americano si assottiglia e il fantasma di una difesa autonoma si fa ingombrante.
Crosetto lo ha detto chiaramente: “Non è solo un obiettivo numerico, ma una capacità di difesa reale”. Una frase che suona come una giustificazione politica all’opinione pubblica, chiamata a digerire spese crescenti mentre il debito pubblico rimane una zavorra. Eppure, l’Italia non è sola: Berlino, Parigi, Varsavia e Londra marciano sullo stesso sentiero, come dimostra l’attivismo del “Gruppo E5”, nuovo formato informale nato per rafforzare il dialogo difensivo tra le principali potenze militari europee.
Dietro le cerimonie ufficiali e le percentuali da esibire a Washington si cela una domanda che in Europa fa paura: cosa succede se davvero gli Stati Uniti decidono di andarsene? L’IISS ha simulato uno scenario senza ombrelli americani: 1.000 miliardi di dollari in venticinque anni per sostituire asset, uomini e capacità logistiche USA. Una cifra mostruosa, che rivela quanto la difesa europea sia ancora un castello costruito sulla sabbia dell’alleanza transatlantica.
Il sogno della “sovranità strategica” di Macron trova nuovo vigore con l’ombra del ritorno di Trump e con la sua richiesta – oggi concreta – di portare la spesa NATO al 5% del PIL, suddivisa in 3,5% per la difesa e 1,5% per la sicurezza. Ma gli entusiasmi devono fare i conti con una realtà ostinata: l’industria europea non è ancora pronta. Le filiere produttive sono fragili, la manodopera scarseggia, i bilanci sono in affanno. E soprattutto, le alternative europee per navi da guerra, caccia stealth e missili a lungo raggio sono inesistenti o immature.
Nel frattempo, l’analisi mostra che il 52% degli acquisti militari europei va ora a fornitori del continente. È una tendenza, non ancora una strategia. La verità è che l’Europa si arma perché teme l’isolazionismo americano, ma lo fa in ordine sparso, senza un vero comando unificato, e con una popolazione spesso ostile all’idea di spese belliche.
Raggiungere il 2% è stato solo l’inizio. Il vero banco di prova sarà vedere se l’Europa, Italia inclusa, è disposta a pagare il prezzo politico, economico e industriale di un sistema di difesa autonomo. Non è più solo una questione di bilancio. È la sovranità che bussa alla porta.