Khashoggi: l’Apple watch acceso incastra gli uomini di Mbs

E’ la fine di Mohamed bin Salman, forse una congiura di quei principi che lui stesso fece arrestare per poi rapinare.

di Enrico Oliari –

Tiene testa nel mondo arabo, soprattutto grazie alla tv qatarina al-Jazeera (che ha i suoi buoni motivi), la notizia della scomparsa e dell’ormai certa uccisione del giornalista Jamal Khashoggi, il quale era entrato il 2 ottobre nel consolato saudita di Istanbul per richiedere documenti di divorzio e da lì non è più uscito. Per le autorità turche, che hanno visionato i filmati delle telecamere di sorveglianza e raccolto numerosi altri indizi tra cui l’arrivo di un commando di uomini dell’intelligence saudita proprio il 2 ottobre, Khashoggi sarebbe stato ucciso nel consolato da uomini del servizio segreto di Riad e della guardia personale di Mohamed bin Salman ed il suo corpo sarebbe stato trafugato una volta tagliato a pezzi.
Khashoggi, dal 2017 esule negli Usa, era editorialista del Washington Post molto critico nei confronti del principe ereditario Mohamed bin Salman, il quale anche in passato non si è fatto scrupoli nel far arrestare principi e funzionari requisendo loro cifre per svariate centinaia di miliardi di dollari, e ci sono sospetti per un aereo misteriosamente caduto nel novembre 2017 mentre sorvolava l’Arabia Saudita con a bordo alcuni principi.
Vista l’indignazione internazionale con tanto di minacce dalla gran Bretagna e l’invio in Turchia di un team della Cia da parte di Donald Trump, l’anziano re saudita Salman si è sentito due giorni fa al telefono con il presidente turco Recep Tayyp Erdogan con il quale ha concordato sulla necessità di “far luce sul caso”, per cui i due hanno stabilito la creazione di un gruppo congiunto di inquirenti: ci si aspettava – com’era stato annunciato – un’ammissione di responsabilità da parte saudita, ma al momento tutto è rimasto tale e quale. La cosa mette in luce chi effettivamente comanda nel palazzo reale di Riad, ovvero quel principe ereditario che fra una guerra e l’altra i Medio Oriente riesce anche a far piazza pulita dei suoi oppositori.
Da quanto è emerso il giornalista saudita è entrato nel consolato con l’Apple watch acceso, ora nelle mani degli inquirenti turchi, e sarebbe stato torturato per diversi minuti prima di venire ucciso con un’iniezione letale. Mentre tagliavano le dita a Khashoggi, nella registrazione si sente a la voce del console Mohammed Utaybi, rientrato a Riad da 2 giorni, chiedere a qualcuno, probabilmente agli uomini dei servizi segreti, di ”sbrigare la faccenda fuori dal consolato”, una richiesta alla quale gli è stato risposto di “stare zitto, se non vuoi essere fatto fuori quando arrivi a Riad”.
Il giornalista sarebbe stato quindi decapitato e tagliato pezzi, ma i suoi resti non sono ancora stati rinvenuti.
La stampa internazionale riporta che del commando avrebbero fatto parte Maher Abdulaziz Mutreb, il quale una decina di anni fa era un diplomatico assegnato all’ambasciata saudita di Londra ed è considerato molto vicino a Mohamed bin Salman, di cui oggi fa parte della guardia personale: secondo al-Jazeera erano intestati a Mutreb i contratti di noleggio dei due aerei con cui sarebbero giunti a Istanbul gli uomini del commando; una mail pubblicata a suo tempo da Wikileaks dimostrerebbe la partecipazione di Mutreb a corsi in Italia sull’uso di software di spionaggio e sorveglianza.
Un altro sospettato sarebbe Khalid Aedh al-Otaibi, anch’egli membro della Guardia reale: in marzo aveva accompagnato il principe nel suo viaggio ufficiale a Washington.
E proprio sugli Usa c’è lo sguardo di tutto il mondo: qualcuno pensa che quanto accaduto sia ascrivibile ad una sorta di regolamento di conti interno alla popolosa famiglia reale saudita, per cui vi sarebbe stato un accordo tra principi sconfitti e la Turchia per incastrare Mohamed Bin Salman.
Ora gli Usa hanno due possibilità, o accettare l’estraneità di re Salman ai fatti e prendersela solo con il principe ereditario (ben poco) riformatore, o prendersela con tutto il complesso establishment saudita, ma Trump ha già fatto sapere in un’intervista alla Fox che gli Stati Uniti non abbandoneranno l’Arabia Saudita perché “ne hanno bisogno per la lotta al terrorismo”.
In entrambi i casi la fine di Mohamed bin Salman sembra certa. Come pure e del suo fantasmagorico progetto di una città resort da 2mila miliardi sul Mar rosso per diversificare l’economia.

Mohamed bin Salman, detto Mbs, non va per le spicce per togliere oppositori di ogni lignaggio dalla sua strada, basti pensare che nel novembre 2017 ha fatto arrestare (e ne ha confiscato beni per 800 miliardi) figure quali il principe al-Walid bin Talal (al-Walid bin Ṭalal bin Abd al-Aziz al-Saud), una degli uomini più ricchi del mondo con un patrimonio personale di oltre 30 miliardi di dollari, amico personale di Silvio Berlusconi, di Rupert Murdoch e di Vladimir Putin e soprattutto presidente e amministratore delegato della Kingdom Holding Company (importanti quote in Amazon, Ebay, Apple, Boeing, Coca Cola, Fininvest, Citygroup, McDonald’s, Twitter e molte altre); il principe Turki bin Nasser al-Saud, già vicecomandante delle forze armate, anche lui multimiliardario e con conti offshore; Mutaib II bin Abdullah bin Abdulaziz Al Saud; il principe Mutaib II bin Abdullah bin Abdulaziz al-Saud, già comandante in campo e fino a ieri ministro della Guardia nazionale; il principe Turki bin Abd Allah al-Saud, già governatore della provincia di Ryad; Khaled al-Tuwayjiri, già comandante della Guardia Reale, segretario del Consiglio di Fedeltà e segretario privato e consigliere speciale di re Abd Allah; Waleed bin Ibrahim Al Ibrahim, numero uno delMiddle East Broadcasting Center (Mbc) e proprietario della prima tv commerciale del Medio Oriente; Saleh Abdullah Kamel, capo del Consiglio generale delle Banche islamiche e della Camera di commercio di Jeddah, nonché fondatore del Dallah al Baraka Group; Adel bin Muhammad Fakeih, ministro dell’Economia e della Pianificazione, già ministro del Lavoro; Abdullah al-Sultan, comandante della regia Marina.
Mbs conta di costruire sul Mar Rosso una città-resort dal costo di 2mila miliardi (da qui il sequestro dei beni degli arrestati) in modo da convogliare turismo e diversificare l’economia in vista di un futuro esaurimento del petrolio. Turismo che avrebbe poco a che fare con le rigide leggi della Sharia, per cui il principe starebbe cercando gradualmente di introdurre riforme nel paese, come la possibilità per le donne di guidare o di andare allo stadio.
Nulla di strano quindi se un oppositore del calibro di Khashoggi fosse stato bellamente eliminato appena messo piede nel territorio saudita del consolato.