Kosovo. Il Parlamento vota la formazione di un esercito nazionale

di Valentino De Bernardis

Dopo anni di rinvii, minacce e forzati passi indietro, il Parlamento di Pristina ha avvallato la trasformazione delle Forze di Sicurezza del Kosovo (KSF) in un esercito nazionale effettivo. Un voto pacifico e unanime (105 voti su 105), in cui da registrare c’è stato il boicottaggio come segno di protesta dei rappresentanti della minoranza serba, e una sfilata pacifica dei rappresentati militari kosovari in parlamento.
La decisione trasversale dei partiti kosovari di maggioranza albanese rappresenta un punto di rottura nel lungo e tortuoso percorso di dialogo con il governo di Belgrado. Le speranze di una soluzione condivisa nate con gli accordi di Bruxelles del 2013 hanno avuto vita brevissima, e da allora si sono registrati passi indietro ed inconsistenti sviluppi. Ultimo in ordine cronologico la decisione di Pristina di introdurre una tariffa per le merci in entrata dalla Serbia e dalla Bosnia Erzegovina. Atto unilaterale di ostilità commerciale, primo campanello di allarme di una svolta politica delle “mani libere” in cui tutto è permesso.
Tornando alla sostanza della votazione, il governo kosovaro progetta la creazione entro dieci anni di un esercito effettivo di 5mila regolari e 3mila riservisti con un budget annuale di circa EUR 100 milioni. C’è da capire quale ruolo il nuovo esercito potrà ricoprire, in particolare in relazione alle forze Nato presenti nel paese e lungo i confini.
Dato un cosi chiaro impegno, sia politico che economico, sono facilmente comprensibili le immediate rimostranze del governo serbo, cadute però nel vuoto della diplomazia internazionale. La successiva decisione del Parlamento kosovaro di formare una squadra per negoziare le dispute con Belgrado appare una foglia di fico troppo piccola, e forse persino inutile. Il rischio concreto è quello per cui in breve periodo si possa tornare a discutere i confini tra i due paesi, come già pre-annunciato dal presidente Thaci, con il passaggio di alcuni villaggi a maggioranza albanese al Kosovo, e di altri a maggioranza serba a Belgrado. Un pericoloso domino specialmente per chi ricorda ancora gli eventi che portarono all’ultima guerra combattuta in Europa.
La formazione di un esercito regolare kosovaro rappresenta nella realtà dei fatti una violazione della risoluzione delle Nazioni Unite 1244 del giugno 1999. Una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (come già richiesto da Belgrado) è indispensabile per evitare indesiderate situazioni di scontro ed escalation tra le parti.
Proprio sul campo diplomatico la partita sarà ancora più difficile da giocare. Il Koovo può nei fatti contare sul sostegno totale degli Stati Uniti, come annunciato tra le righe a fine settembre dal ministro della Difesa James Mattis che a seguito di un incontro bilaterale con il primo ministro kossovaro Ramush Haradinaj aveva dato l’assenso ufficioso alla creazione di un esercito regolare. Mentre la Serbia dalle sua parte ha lo storico sostegno russo e cinese. Una potenziale situazione di veti incrociati da cui ad uscirne indebolita è solamente l’Europa, sia come entità geografica che politica.
Le numerose condanne di Bruxelles ad azioni di forza e i tentativi non ascoltati di moral suasion nei confronti di Pristina sono la testimonianza diretta di una debolezza conclamata. Gli interessi particolaristici dei singoli paesi membri schiaccia l’interesse della maggioranza (non a caso lo stesso Kosovo non è riconosciuto da tutti i paesi dell’Ue), svuotando la politica estera comunitaria di una qualsivoglia forza. Rimanendo in attesa degli eventi e impossibilitata a giocare un ruolo di primo piano anche nel proprio giardino di casa.

Le opinioni espresse in questo articolo sono a titolo personale. Twitter: @debernardisv