Kurdistan Irq. A 32 anni dal massacro con armi chimiche di Halabja. 5mila i morti

di Shorsh Surme

Nonostante l’emergenza coronavirus la popolazione curda si è riunita oggi per ricordare il 32mo anniversario dal bombardamento con armi chimiche sulla città curda di Halabja, nel Kurdistan dell’Iraq, da parte del regime del tiranno sanguinario Saddam Hussein. I morti furono 5mila e i feriti più di 100mila. Molti di questi sono stati abbattuti come animali dalle squadre della morte capeggiate dal criminale Ali “il Chimico”, cugino di Saddam, per nascondere ogni traccia di questo massacro.
Il 16 marzo 1988 era un pomeriggio come tanti, la cittadina era quasi interamente coperta dal verde quando i bombardieri iracheni difFabbricazione francese invasero il cielo di Halabja, città di 70mila abitanti della provincia di Suleymania, nel Kurdistan Iracheno, a pochi chilometri dalla frontiera iraniana.
Il giorno precedente la città era caduta nelle mani dei partigiani dell’Unione patriottica del Kurdistan (Upk) di Jalal Talabani. Abituata alle alterne offensive e controffensive nel conflitto Iraq-Iran che devastavano la regione dal settembre del 1980, la popolazione credette sulle prime che si trattasse di una classica operazione di rappresaglia. Chi fece in tempo si mise al riparo in rifugi di fortuna. Gli altri furono sorpresi da bombe chimiche che, a ondate successive, i Mirage iracheni rovesceranno loro addosso.
Un odore nauseante di mele imputridite riempì Halabja. Al calar della notte le incursioni aeree cessarono e cominciò a piovere. Poiché le truppe irachene avevano distrutto la centrale elettrica, gli abitanti partirono alla ricerca dei loro morti nel fango, alla luce delle torce. L’indomani si trovarono di fronte a uno spettacolo spaventoso: strade lastricate di cadaveri, persone sorprese dalla morte chimica nei loro gesti quotidiani: bambini tenuti per mano dal padre, neonati ancora attaccati al seno materno, gli anziani che cercavano di passare una giornata serena e i malati che speravano di guarire. In poche ore ebbero 5mila morti di cui 3.200 verranno tumulati in una fossa comune perché nessuno poté reclamarli: i familiari erano tutti morti.
Le immagini di questo massacro fecero il giro del mondo grazie a corrispondenti di guerra iraniani e la stampa internazionale che si recò sul posto diede certo spazio a questo avvenimento senza precedenti. L’uso di armi chimiche era formalmente proibito dalla convenzione di Ginevra. Dal 1925 soltanto l’Italia di Mussolini aveva infranto questo divieto nella guerra d’Abissinia. Ma stavolta fu contro il suo stesso popolo che uno stato ricorse ai gas chimici. Allora l’occidente, che considerava Saddam un’alleato ma soprattutto il paladino della libertà contro l’espansionismo khomaynista nel Golfo Persico, si limitò a una timida protesta senza una condanna esplicita contro il regime dittatoriale iracheno.
La città di Halabja vive ancora oggi con i terribili ricordi di quella tragedia, nel territorio della città non cresce più un filo di erba, le donne che erano state colpite con il gas non riescono avere più i figli e se possono averne nascono deformati. Ora la speranza di migliaia dei parenti delle vittime di quella tragedia in particolare e del popolo curdo in generale è che i responsabili, che per fortuna sono già dietro le sbarre, possano essere processati e giudicati al più presto possibile per crimini che hanno commesso contro la popolazione civile.
E non dimentichiamo anche i mercanti di morte che hanno collaborato col regime per realizzare questa arma micidiale. Infatti nel 2006 è stato condannato Frans van Anraat, un olandese di 65 anni, che la magistratura del suo paese aveva definito come “uno dei più importanti intermediari del traffico d’armi e materiale bellico del Medio Oriente”. Van Anraat si era trasferito in Iraq dopo la prima guerra del Golfo dove, sempre secondo i magistrati olandesi, avrebbe svolto il ruolo di consulente per lo sviluppo delle armi chimiche del regime di Saddam. E’ stato riconosciuto colpevole di complicità in crimini di guerra ed è stato condannato dal tribunale dell’Aja a 15 anni di prigione.