di Shorsh Surme –
La regione del Kurdistan iracheno ha commemorato l’ottavo anniversario del referendum sull’indipendenza dallo Stato federale iracheno. Il referendum, tenutosi il 25 settembre 2017, ha riscosso un enorme successo popolare, ma il suo esito finale è stata una delusione e un clamoroso fallimento politico. Una volta annunciati i risultati del referendum, tra cui l’approvazione di oltre il 92% della popolazione della regione per la creazione del primo stato curdo indipendente, la leadership del Partito Democratico del Kurdistan (PDK), che aveva fortemente sostenuto il referendum senza l’approvazione delle autorità federali irachene, si è resa conto dell’impossibilità di attuarne i risultati sul campo. Si è trovata di fronte a una dura posizione contraria, non solo di Baghdad, ma anche da parte delle due potenze regionali interessate alla questione curda, riluttanti ad aprire le porte a qualsiasi indipendenza curda all’interno delle loro società: Iran e Turchia. Queste due potenze hanno collaborato con il governo dell’allora primo ministro iracheno Haider al-Abadi per ostacolare l’attuazione di quanto i curdi iracheni avevano deciso con il loro referendum.
Il veterano leader curdo e capo del Partito Democratico del Kurdistan, Masoud Barzani, ha promosso l’idea di organizzare il referendum anticipando che fosse giunto il momento di ottenere l’indipendenza della regione dall’Iraq. Ciò si basava sulla fragile situazione dello Stato iracheno e sulla partecipazione attiva delle forze curde Peshmerga alla guerra contro l’ISIS che, secondo la sua celebre frase, aveva “ridisegnato i confini della regione nel sangue”. Sebbene il referendum avesse perso il suo valore pratico, portava ancora con sé una carica emotiva che poteva essere sfruttata nella propaganda elettorale e di parte.
Tuttavia, subito dopo lo svolgimento del referendum e l’annuncio dei suoi risultati, Barzani ha reagito con inaspettata severità e un coordinamento immediato e incondizionato tra Baghdad, Ankara e Teheran. Ciò ha trasformato il processo da un guadagno politico e persino economico in una perdita politica e persino economica, quando le tre capitali hanno deciso di imporre un blocco alla regione e di limitarne la circolazione nei porti.
Si è trasformato anche in una sconfitta sul campo di battaglia, quando le forze irachene sono avanzate su aree precedentemente sotto il controllo dei Peshmerga, in particolare aree nel governatorato di Kirkuk, ricco di petrolio, strappandole al loro controllo.
La posizione geopolitica del Kurdistan era il primo ostacolo nel referendum, non avendo nessun paese estraneo al problema curdo, era impossibile che referendum venissi accettato, nonostante il 92% della popolazione avesse votato il “sì” e l’87% si fosse recato al seggio elettorale, con la speranza che finalmente il Kurdistan divenisse uno stato indipendente.
La sorpresa più grande per la leadership politica, desiderosa di organizzare il referendum, è stata la mancata ricezione di alcun sostegno da parte delle potenze internazionali, nonostante la loro simpatia per la causa curda, in particolare gli Stati Uniti, che avrebbero dovuto sostenere l’iniziativa. Anche in quell’occasione l’occidente si è girato da un’altra parte per non appoggiare l’iniziativa. Solo il Kosovo ha potuto dichiarare l’indipendenza nell’arco di 24 ore ed essere riconosciuto immediatamente da tutti paesi occidentali. Come sempre due pesi e due misure.












