Kurdistan Sir. Muslim denuncia rapimenti di donne curde da parte delle milizie filo turche

di Shorsh Surme

A distanza di due anni dall’occupazione turca di Afrin, nel Kurdistan siriano (Rojawa), la città curda sta vivendo una drammatica situazione nel silenzio dei media e della comunità internazionale. L’amministrazione autonoma del Kurdistan siriano ha chiesto sabato scorso un’indagine internazionale sui rapimenti delle donne curde di Afrin, dopo che dieci donne sono state trovate nel quartier generale di una delle milizie alleate al “sultano” turco Recep Tayyp Erdogan.
L’autorità curda che governa le zone libere, con sede a Qamishli, aveva già duramente condannato violazioni contro le donne ad Afrin, ed oggi è tornata ad invitare le organizzazioni femministe di tutto il mondo e le Nazioni Unite, la Russia e gli Stati Uniti a condannare queste azioni criminali.
L’occupazione turca della città di Afrin di per sé è una violazione del diritto Internazionale, in quanto appartiene alla sovranità di uno stato sovrano che è la Siria. Per lo stesso diritto la comunità internazionale e soprattutto gli Stati Uniti si mobilitarono contro l’occupazione di Saddam Hussein dell’emirato del Kuwait, ma per Afrin vi è silenzio totale: come sempre ci sono due pesi e due misure.
Nella protesta curda viene sottolineato che sia la comunità internazionale ad esprimere una posizione chiara nei confronti delle milizie di Hamza, uno dei gruppi sostenuti e appoggiati dalla Turchia. “Chiediamo anche che venga condotta un’indagine internazionale, che siano individuati i responsabili di tali violazioni e che venga posta porre a quest’ingiustizia”, ha detto Saleh Muslim, presidente del PYD (Democratic Union Party).
La popolazione di Afrin viene ad essere colpita due volte, non solo delle milizie filo turche, ma anche dal conflitto tra le milizie varie presenti nella regione: durante i recenti scontri tra gruppi rivali sostenuti dalla Turchia, come al Hamza, e i jihadisti di Jais al-Islam ad Afrin hanno causato la morte di 5 civili curdi.