Kurdistan Siriano. Fidan vuole “distruggere” i curdi

di Giuseppe Gagliano

Il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan ha lanciato dichiarazioni incendiarie contro i curdi nel nord-est della Siria, promettendo la loro “distruzione” con il pieno sostegno del governo di Recep Tayyip Erdogan. Ma chi è davvero Fidan? E qual è il ruolo che la Turchia sta giocando in questa complessa partita geopolitica?
Hakan Fidan non è un volto nuovo nei palazzi del potere di Ankara. Prima di diventare ministro degli Esteri, è stato per anni il capo dei servizi segreti turchi (MIT), una posizione che lo ha reso il braccio destro di Erdogan nelle operazioni più oscure e controverse. Tra queste spicca un episodio che ancora oggi suscita interrogativi inquietanti: il presunto invio di camion carichi di armi ai miliziani dell’ISIS, proprio mentre il gruppo terroristico si trovava nel pieno della sua fase di terrore e brutalità, filmando decapitazioni e stermini di massa.
Secondo diverse inchieste giornalistiche e rapporti trapelati, quei camion, ufficialmente diretti a consegnare aiuti umanitari, trasportavano invece armamenti destinati ai jihadisti. Nonostante le smentite ufficiali di Ankara, le prove accumulate raccontano una realtà difficile da ignorare. E oggi Fidan, con quel passato alle spalle, siede al vertice della diplomazia turca, mentre la Turchia continua a destreggiarsi in una doppia faccia tra alleato NATO e attore sempre meno prevedibile nello scacchiere mediorientale.
Nel nord-est della Siria le forze curde, rappresentate principalmente dalle YPG (Unità di Protezione Popolare), sono state gli unici veri alleati degli Stati Uniti nella lotta contro l’ISIS. Sono stati loro a liberare Kobane e Raqqa, la capitale de facto del califfato, e a pagare un prezzo altissimo in termini di vite umane per sconfiggere un nemico comune. Eppure oggi queste stesse forze sono nuovamente sotto attacco, questa volta da parte della Turchia, che le considera un’estensione del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, ritenuto un’organizzazione terroristica da Ankara.
La dichiarazione di Fidan non è solo un’ennesima provocazione: è un chiaro segnale che la Turchia intende intensificare le sue operazioni militari nella regione ignorando non solo i sacrifici dei curdi contro l’ISIS, ma anche la fragile stabilità geopolitica dell’area. E l’occidente? Come sempre tace o si limita a timidi richiami, ostaggio del ruolo strategico della Turchia nella NATO e del controllo che Erdogan esercita sulle rotte migratorie verso l’Europa.
La domanda però resta: fino a quando si potrà tollerare questo gioco delle parti? È moralmente accettabile che un alleato ufficiale dell’occidente continui a distruggere chi ha combattuto in prima linea contro il terrorismo jihadista, solo per perseguire i propri obiettivi di potere regionale?
Forse è giunto il momento che le democrazie occidentali smettano di chiudere gli occhi di fronte a questi comportamenti. Perché il rischio, come sempre, è che chi semina distruzione in nome della geopolitica finisca per raccogliere nuove minacce, questa volta su scala globale.